Nell’introduzione a Vivere per qualcosa, uno dei due libri che ho avuto la fortuna di scrivere insieme a lui, Luis Sepùlveda si definiva «uno scrittore e militante politico di sinistra, impegnato a combattere la passività, la prospettiva stessa di mancanza di futuro». Mi aggrappo alle sue parole per ricordare un amico, un modello, un uomo straordinario che ci ha lasciato.
Vivere per qualcosa nacque nell’ambito di un incontro pubblico a Milano in cui ci confrontammo lui, io e Pepe Mujica, l’ex presidente dell’Uruguay. Una chiacchierata sul senso, sul futuro, sulla felicità. Oggi ripenso a quell’incontro, con la cena che lo precedette e il lavoro di condivisione e scrittura che lo seguì come uno dei ricordi più belli ed entusiasmanti che mi porto dietro. Perché parlare di Luis vuol dire certamente analizzare la sua opera letteraria che a tutti gli effetti ne fa un Esopo del XXI secolo, tuttavia, senza la sua carica militante, non è possibile comprendere la sua figura monumentale. Luis era gentile, di quella gentilezza inflessibile che solo i grandi sanno portare. E aveva una profondità che spiazzava, con lui niente era semplice chiacchiera, tutto si trasformava in un’esperienza intensa e profonda. Quando parlava del periodo in cui fece parte della scorta del presidente Allende, colui che per un seppur breve periodo mostrò al mondo che si poteva immaginare un futuro e un governo diverso da tutto quanto avevamo visto fino ad allora, ancora oggi gli brillavano gli occhi di entusiasmo e di rimpianto per una promessa soffocata nel sangue dai militari golpisti. Da allora Luis non si è più fermato. Le cause della giustizia, dell’equità, della sostenibilità erano tutte anche sue cause. Per lui il futuro andava costruito ogni giorno con la lotta e la militanza, senza fare calcoli tattici, senza risparmi. Partecipò alla guerriglia in Nicaragua così come trascorse un periodo su una nave di Greenpeace nel tentativo di fermare le baleniere giapponesi rischiando più di una volta di essere affondato. Tutto questo senza mai perdere un briciolo della poesia che accompagnava la sua persona e la sua penna.
Ci sentivamo spesso e, quando possibile, ci incontravamo. Scherzavamo sul fatto di appartenere ancora all’800 essendo nati nel 1949, e forse condividere anche lo stesso anno di nascita aggiungeva qualcosa alla nostra affinità.
Quando venne a visitare la nostra Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo, parlò ai ragazzi dell’importanza dell’accoglienza, della curiosità e dell’apertura. Ci teneva sempre a dire che la grandezza del “suo” Cile si fondava sulla scelta di accogliere, nella prima metà del novecento, i migranti che sbarcavano sulle sue coste. Sorrideva molto, sapeva e non faceva alcun mistero del fatto che l’unico modo per cambiare il mondo è attraverso la gioia. Anche nella lotta, soprattutto nella lotta.
Buon viaggio caro Luis, oggi è difficile trovare quella gioia, ma da domani ripartiremo inseguendo il tuo esempio e facendoci forza della tua splendida e infinita arte.