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Apr 08 2020

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L’INTERVISTA. PETRINI: «UNA NUOVA RESISTENZA CONTRO LA PAURA»

Carlo Petrini: dobbiamo liberarci dall’angoscia, bello l’incontro tra giovani e vecchi, laici e cattolici

Carlin, ma ce l’hai il balcone per cantare Bella Ciao? E il vecchio leone che ha cambiato il modo di mangiare e anche un po’ quello di vivere, di rimando: «Ho un giardinetto piccolo ma carino, vedessi; il 25 aprile la canterò da lì, insieme a milioni di italiani».

Come sempre, Carlin Petrini resta a Bra, su quelle colline langarole che prima di diventare la capitale del formaggio e di Terra Madre lo furono della Resistenza. Verrebbe da dire quella vera, quando si sparava e si moriva; se non si morisse anche oggi, che il nemico non imbraccia lo Sturmgewehr e i fazzoletti bianchi e rossi si usano solo per piangere.

Festeggiare il 25 aprile in questo momento significa unire gli italiani o dividerli?

Sai, io la Resistenza non l’ho vissuta ma l’ho conosciuta bene. Sono cresciuto con Nuto Revelli. Dalle mie parti combatteva Giorgio Bocca. Su queste colline molti giovani sono morti, di entrambi gli schieramenti. La Resistenza è stata una guerra di liberazione, poi politicizzata come non avrebbe dovuto essere. Lo stesso dicasi per il 25 aprile: una festa civile dell’intero popolo italiano, non di parte, un patrimonio che tutti devono rivendicare perché è la liberazione dal nazifascismo. Settantacinque anni dopo quella Liberazione, come dice l’appello che abbiamo firmato, abbiamo bisogno più che mai di celebrare la nostra libertà. Da un nemico invisibile, dalla distanza sociale che ci rende più soli e soprattutto dalla paura che ci fa essere individualisti e non pensare al mondo che verrà dopo. Questi sono valori e bisogni davvero di tutti, come dimostra il fiume di firme in calce all’appello.

Sorpreso dalle adesioni?

Esterrefatto. L’idea di una piazza virtuale per festeggiare il 25 aprile è nata prima dell’appello ed è nata dalla necessità; era imposta dal lockdown, è ovvio. Ma poi ha preso forma il contenuto, come se fosse creato da una domanda sociale che premeva dal basso. Abbiamo capito che non bastava festeggiare, si doveva fare qualcosa per liberarci dalla paura. Così abbiamo fatto ciò che libera dalla paura: guardare agli altri. Ci siamo accorti che oltre il coronavirus c’è la povertà e c’è la morte di tutti i giorni, che ci saranno anche dopo, quando il virus sarà sconfitto. E su questa ‘resistenza’ ci siamo incontrati in tantissimi, giovani e vecchi, laici e cattolici…

L’idea non piacerà a tutti.

Guarda che dalle mie parti ci sono sindaci di Forza Italia iscritti all’Associazione Partigiani. Dobbiamo uscire dalle mura della politica e rifare del 25 aprile, cantato dai balconi, esattamente quello che dice il cardinal Zuppi: una festa di popolo.

Cosa c’entra la guerra partigiana con un virus?

Cito Calamandrei: la libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare. Di drammatica attualità.

Qual è l’aria che sta mancando in Italia?

Un monaco di Bose ci rimprovera sempre dicendo: non siamo in guerra, ma in cura. C’è troppa paura nell’aria. Dobbiamo superare culturalmente i vincoli che ci impone il virus e far passare segnali di solidarietà e gentilezza, di partecipazione: è questa la dimensione nuova della Resistenza. Il ‘nostro’ 25 aprile.

Insomma, non andrà tutto bene?

Il numero esorbitante di firme raccolte dimostra che c’è una forte domanda di comunità. Papa Francesco ci esorta a costruire un percorso diverso da quello da cui proveniamo, perché, come dice lui, pensavamo di essere sani in una società malata. Ecco, il bisogno di comunità che ci consente, con il semplice tam tam dalle case chiuse, di raccogliere tante firme, lo spiego con un bisogno dell’individuo. Ma c’è di più: c’è il rischio che, nel lockdown della paura, molti non vedano altro che i pericoli personali. E non vedano che si muore, anche ed ancora, di povertà.

Per questo non avete scelto di donare agli ospedali?

In questi giorni tutto il Paese sta donando, giustamente, agli ospedali che ci difendono dal virus. Noi vogliamo pensare a coloro che, mentre noi stiamo male, stanno peggio. I poveri rimasti fuori dalle case chiuse, senza tetto e senza lavoro. Gli ultimi che si rivolgono alla Caritas e alla Croce Rossa e rischiano di non avere risposta, perché tutte le donazioni oggi sono dirette altrove.

«Dobbiamo uscire dalle mura della politica e rifare del 25 aprile, cantato dai balconi, esattamente quello che dice il cardinal Zuppi: una festa di popolo» Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, tra i promotori del nuovo 25 aprile. «Calamandrei diceva: la libertà è come l’aria» fonte: L’Avvenire, Paolo Viana / Fotogramma, 08.04.2020

 

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