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Mar 16 2020

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SEMPRE MENO INSETTI IMPOLLINATORI, SCATTA IL PIANO PER SALVARLI

Promuovere il monitoraggio e le ricerche su specie fondamentali per la biodiversità: “Delle api selvatiche sappiamo troppo poco per salvarle

Facile avviare ricerche e trovare sostegno e fondi per salvare tigri, elefanti e balene, ma l’emergenza, adesso, è salvare quei molesti degli insetti. Tutti, perché dal fastidioso moscerino del lago, indispensabile per nutrire pesci e uccelli, allo scarabeo stercorario senza il quale rischiamo di finire letteralmente nel letame fino al collo, gli insetti sono indispensabili. Anche se sembrano lontanissimi nella catena alimentare che arriva fino ai maestosi felini e agli affascinanti cetacei, senza insetti non si può garantire neanche la sopravvivenza dell’orso bianco o del rinoceronte: è, questo, uno dei capisaldi della biodiversità.

Tra gli insetti, i più minacciati sono api e impollinatori selvatici. Secondo il Rapporto 2019 dell’Ipbes, l’Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services dell’Onu (cioè il corrispettivo per la biodiversità dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) la diminuzione di api selvatiche e farfalle è pari al 40-50 per cento, e il declino complessivo degli insetti è otto volte più veloce di quello di mammiferi, uccelli e rettili.

Finalmente, di fronte a questi dati così preoccupanti, la Commissione europea ha approvato una risoluzione per affrontare l’emergenza, risoluzione alla quale il ministero dell’Ambiente si è adeguato emanando a sua volta, nell’ottobre scorso, una direttiva che prevede azioni comuni nei parchi italiani che partono soprattutto dal monitoraggio delle api e degli insetti impollinatori. Spiega infatti Silvia Ghidotti, naturalista e ricercatrice che collabora con il progetto di monitoraggio nel Parco nazionale del Gran Paradiso: “Uno dei problemi è proprio la scarsa conoscenza che abbiamo degli impollinatori diversi dall’Apis mellifera, cioè da quella che produce il miele. Basta pensare che del 56 per cento delle api selvatiche non sappiano quasi nulla. Si è parlato molto del declino delle api domestiche, ma su quanto sta accadendo alle altre e agli impollinatori in genere non ci sono dati“.

A fine febbraio si è tenuto un importante convegno per confrontarsi sulle metodologie condivise a livello europeo per monitorare le api e gli altri impollinatori, proprio per cominciare ad avere a disposizione dati confrontabili nel tempo anche con quelli rilevati negli altri paesi europei. Il progetto di monitoraggio è coordinato dall’Ispra, in collaborazione con Arpa Piemonte, Università di Torino e Università di Roma Tor Vergata  e si concentra soprattutto su quale sia l’efficacia delle misure del Piano d’Azione Nazionale sull’uso dei prodotti fitosanitari per la tutela di habitat e specie, fra cui gli impollinatori.

Nel convegno i parchi italiani hanno presentato non soltanto i dati sul monitoraggio, ma anche le misure che ritengono indispensabili per arginare la moria di impollinatori: l’eliminazione e la sostituzione e  di alcuni prodotti fitosanitari che risultano pericolosi per le api e gli altri impollinatori; la creazione di fasce tampone con specie nettarifere nei campi coltivati e la sensibilizzazione degli agricoltori all’uso di pratiche agronomiche che mantengano gli habitat idonei per le specie impollinatrici.

Perfino tra gli agricoltori – dice Ghidotti – c’è chi dà per scontato la fioritura e la maturazione del frutto, senza rendersi conto che questi fenomeni naturali non possono avvenire senza l’azione degli insetti. L’alleanza con gli agricoltori per la protezione degli impollinatori è essenziale, perché è ormai evidente che a livello europeo l’agricoltura intensiva, che fa largo uso di fitofarmaci ed erbicidi ha giocato un ruolo cruciale nella diminuzione di insetti impollinatori“.

Tra i fattori che hanno determinato il calo di insetti impollinatori ci sono, oltre all’uso massiccio di fitosanitari e pesticidi anche la riduzione di habitat per queste specie, i cambiamenti climatici, l’inquinamento ambientale diffuso e la presenza di specie esotiche invasive. Non a caso, riferisce la ricercatrice, nei parchi dove gli ecosistemi sono protetti la presenza di impollinatori è ancora a livelli accettabili.

Servono più dati, serve più conoscenza: “Anche nel convegno è emerso che  non si fanno abbastanza ricerche sugli insetti – denuncia Ghidotti – non sono “animali simpatici”, ma sta anche a noi sottolinearne il più possibile l’importanza, anche presso un pubblico ampio. Basta dire che per quanto riguarda gli impollinatori, quelli più studiati sono le farfalle, a riprova che nella carenza di dati gioca un ruolo anche la “simpatia”. Ma proprio il maggiore studio delle farfalle con l’europeo “Butterfly monitoring scheme” ha mostrato qual è la strada da intraprendere“.

Oltre lo studio, sottolinea Ghidotti, è bene che non soltanto l’agricoltura intensiva si impegni a ridurre l’impiego di prodotti fitosanitari. “Sarebbe importante che piccoli e grandi produttori agricoli facessero più attenzione – propone Ghidotti ed è auspicabile che si promuovano diversi approcci, come l’agricoltura biologica che tutela anche i consumatori“. Fonte: La Repubblica, Cristina Nadotti, 16.03.2020

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