Lo racconta Diego Zancani, professore di Oxford, nel volume “How We Fell in Love with Italian Food”. “Impensabile oggi non mangiare made in Italy”
I° secolo d.C.: ecco da quando il cibo italiano ha iniziato ad appassionare gli inglesi. E con una storia così e una popolarità di tale “portata”, che passano attraverso le conquiste dell’Impero romano, manoscritti medievali che testimoniano la diffusione delle ricette italiane in Inghilterra già nel 1200, i racconti dei diari di viaggio dei secoli successivi, fino ai tanti immigrati italiani che, un tempo commercianti oggi chef e ristoratori, hanno esportato oltremanica la nostra cucina e la Dieta Mediterranea, il nostro cibo ha superato ben più di una crisi, guerra o povertà che si sono succedute nelle epoche. Una tesi interessante ed affascinante, che la dice lunga di quanto, Brexit o no Brexit, possa essere grande oggi la passione per il made in Italy, sostenuta nel volume “How We Fell in Love with Italian Food” da Diego Zancani, membro del Balliol College e professore emerito di Lingue medievali e moderne all’Università di Oxford, in parte saggio storico, in parte etimologico, in parte anche libro di cucina con le più antiche ricette regionali italiane.
Pizza, pasta, olio d’oliva: oggi è impensabile immaginare gli scaffali dei supermercati senza questi prodotti-simbolo dell’Italia. Così come non c’è cuoco o food-influencer tra i più popolari ed amati al mondo, da Elizabeth David, scrittrice britannica considerata la più grande per la gastronomia nel Novecento, a chef come Ruth Rogers a Jamie Oliver, che non si ispiri od elogi la cucina italiana. In passato, furono le esportazioni di capperi, acciughe e persino del Parmigiano, bene caro e prezioso, a partire dal Cinque-Seicento, a contribuire a far conoscere la nostra cucina, ed appassionare personaggi famosi dell’epoca come William Penn, fondatore della colonia britannica della Pennsylvania, da cui ebbero origine gli Stati Uniti d’America, grande amante di vini pregiati. Nel Settecento il cibo italiano diventa di moda per le classi elevate e si diffondono le botteghe specializzate. Quella stessa borghesia che dei Grand Tour nel Belpaese racconterà anche di cibo, esportandone la passione fin nel Nuovo Mondo, dove influenzò anche Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti d’America e tra i padri fondatori della nazione. È a metà Ottocento, invece, che, tra le curiosità, la poetessa Eliza Acton, usa per la prima volta la parola spaghetti. Nel Novecento e ancora oggi, la traduzione in inglese de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi fece il resto.
Un appeal internazionale celebrato dal volume del professor Zancani (Bodleian Library-University of Oxford edizioni, pp. 256, prezzo di copertina 25 sterline), e che oggi il made in Italy esportato nel mondo e i ristoranti italiani del pianeta – quelli autentici – continuano a diffondere. Fonte: WineNews, 20.03.2020