“Che la terra ti sia lieve”. Sotto quella terra adesso, insieme alla tua barba ruvida, c’è un pezzo di Repubblica, che ti starà accanto per farti compagnia, come tu l’hai fatta a noi
Si è fermato proprio nei giorni in cui si è arreso anche lo sport. E’ sceso di bicicletta, è andato a sedersi in panchina, ha lasciato il campo di cui è stato l’ultimo campionissimo. Pochi giorni fa mi aveva detto: dai, diretur, che ce la facciamo.
Sì, dobbiamo proprio farcela, Gianni. Te lo dobbiamo: noi, tuoi allievi di Repubblica, la comunità grande dei nostri lettori, e chiunque si sia emozionato per le tue cronache dal Tour, per le migliaia di montagne che hai scalato con i tuoi ciclisti, per tutte le partite di calcio che ci hai fatto vivere come se fossimo lì, per il talento purissimo e brusco che hai sparso in ogni articolo, intervista, ritratto, per essere stato l’arbitro, volutamente di parte, nell’appuntamento imperdibile e perduto con i tuoi “Cattivi pensieri”, fino all’angolino in ultima pagina, “Spassaparola”, che oggi lasceremo bianco e magari anche domani e dopo.
Quando scrivevi l’addio a qualcuno, terminavi sempre con questa frase: “Che la terra ti sia lieve”. Sotto quella terra adesso, insieme alla tua barba ruvida, c’è un pezzo di Repubblica, che ti starà accanto per farti compagnia, come tu l’hai fatta a noi. Carlo Verdelli, Direttore di Repubblica
Gianni Mura, il nostro caro campione
Gianni Mura con Francesco Guccini (agf)
Giornalista straordinario e generoso: un raccontatore, come si definiva, dallo sport al cibo, dava i voti cercando sempre di capire. Memoria strepitosa, cantante per passione, spirito libero. Se ne è andato nel primo giorno di primavera
Se n’è andato nel primo giorno di una primavera deserta, ma già piena di margherite. Alle otto di mattina di un sabato in cui il suo ciclismo (Milano-Sanremo) aveva smesso di correre e alla vigilia di una domenica senza calcio. Chissà, forse Gianni in un mondo così, “senza”, non ci stava più. Aveva telefonato la sera prima: “Bevete, anche se io non ci sono“. Pronta la risposta: “Ma no Gianni, ti aspettiamo“. Ma non c’è più nulla da festeggiare. Aveva voluto il computer in ospedale, perché era un uomo di doveri, e c’erano i Sette giorni di cattivi pensieri da scrivere. Paola, la moglie, glielo aveva portato, con il quaderno a quadrettoni, dove lui annotava i suoi giochi di parole. “Stanotte, ne ho pensato uno: diamante, gioiello extraconiugale“.
Gianni ti sfiorava, era leggero in tutto: con le parole, con i gesti, con i pensieri. E aveva un italiano splendido, semplice, nitido. Grande anche la sua generosità, non arrivava mai a mani vuote. Ti stroncava con i riferimenti a canzoni, libri, autori, anche dialettali, ricordi, paesaggi. Ne aveva in abbondanza, per tutto e per tutti. Non era tipo che risparmiasse: sulle bottiglie di vino, sul pecorino di Cugusi (“pastore, non agricoltore”), sul pane e salame, sulla musica, sulla letteratura, sulla poesia, sul versare e condividere con gli altri, sullo scassarsi il cuore. Con lui, facevi scorpacciate: di curiosità, di raffinatezza, di Fréhel (l’aveva come salvaschermo), Brel, Piaf, Jean Ferrat, Giovanna Marini, Ricky Gianco, De Gregori, Capossela. La suoneria del suo cellulare era Chants de partisans, una Bella Ciao francese.
Gli piaceva la gente genuina, giocare a carte (scopone), le parole crociate. Aveva una memoria strepitosa, non si perdeva niente, mandava spesso l’articolo a braccio, dettava in pochi minuti, provateci voi a sintetizzare una partita (ai rigori), a raccontare una morte (quella di Pantani) e una vita (quella di Gimondi) mentre state al ristorante o su un traghetto. Amava gli irregolari, il fumo, la libertà, i romantici, quelli che si buttano a salvare l’amico anche se non sanno nuotare, quelli che fanno, senza chiedersi se conviene, tutto quello che è sulla strada. Anche se nella rubrica dava voti, cercava sempre di capire più che di giudicare. Era molto pudico, rispettava gli imbarazzi e le leggi, figlio di maresciallo (“Il Maigret della Brianza”), si fermava ai semafori gialli e guidava con molta prudenza. Solo il suo cuore era eccessivo: si dava per le giuste e buone cause, e tutti lo chiamavano perché sapevano che Mura avrebbe risposto all’appello.
Lo consideravano un critico, ma lui preferiva la parola raccontatore. Era arrivato a Senigallia in convalescenza da una polmonite di dicembre, perché i dottori gli avevano raccomandato l’aria di mare. Aveva perso molti chili (“Sono sotto i 100”), a tavola mangiava poco (una banana a pranzo), ma se passavano gli amici apriva subito una bottiglia. Aveva subito sostenuto l’economia locale (quando ancora si poteva uscire) comprando pecorini e vini, della zona e non, contento di trovare il gorgonzola di capra della Latteria sociale di Cameri, lo stracchino di Sabelli, e il Cannonau di Pusole. Era rimasto commosso dalla cura con cui nel suo negozio Francesco tagliava a mano il prosciutto: “Vedessi i suoi occhi e la dolcezza della sua mano“. Gianni capiva, non aveva bisogno di Internet, ma è bello che in questi giorni in cui si può niente ci sia il web a ricordare un uomo che aveva attraversato il grande e piccolo sport senza mai dire io, ma sempre lei. E trattando con lo stesso rispetto brocchi e campion
Lunedì mattina per strada Gianni si era sentito male, Paola l’aveva soccorso, un massaggio cardiaco di un generoso dottore l’aveva salvato. Mura si era ripreso. All’ospedale di Senigallia i due cardiologi, il primario Antonio Mariani e Fabrizio Buffarini, si erano accorti che il cuore di Gianni aveva un grave scompenso, c’era un’insufficienza aortica. L’altra mattina un’ischemia miocardica è stata una salita troppo dura. Al dottore che gli aveva chiesto che lavoro facesse, Gianni aveva risposto: sedentario. Già, come no: con 33 Tour de France sulle spalle e con un premio Blondin (unico non francofono a vincerlo) assegnatogli nel 2015 “per la prosa meravigliosa“. Tanto che L’Equipe lo ricorda come memoria vivente della corsa facendo notare che era nato “nel ’45 come Eddy Merckx”. Le ultime sere con Paola guardava in tv L’Eredità e sì le parole le sapeva tutte subito, senza vantarsi. Si era spazientito solo alla mancata risposta di chi fosse La canzone di Marinella. Vai a casa, se non conosci De André.
Alla fine dei suoi racconti sulle vite degli amici persi scriveva sempre: ti sia lieve la terra. Paola l’ha vestito con i jeans, una polo, un golf e scarpe sportive. Non era tipo da cravatta, ma era elegantissimo nella sua semplicità da Mura. Io invece vorrei che la terra diventasse dura, ferrosa, respingente. Che ci restituisse Gianni che credeva nella libertà e che la poesia è un po’ come la Provenza: non sei tu che ci entri, al chilometro tale, ma è lei che ti viene incontro, che s’annuncia con i colori dei campi di lavanda e di girasole. E che voleva bene alle fisarmoniche appoggiate su una sedia. Diceva che sono l’unico strumento che si dilata. Dimenticava il suo cuore. Emanuela Audisio (grande giocatrice-filosofa di Tennistavolo e mia cara amica)
Morto a 74 anni Gianni Mura. Giornalista sportivo e gastronomico
Faceva il giornalista da quando era ragazzino. Prima alla Gazzetta e poi a Repubblica. Come molti cronisti sportivi si era trasformato per passione in giornalista gastronomico. Rileggiamo la sua rubrica e le sue recensioni
Grande milanese e allievo prediletto di Gianni Brera nel mondo magico del giornalismo sportivo dei decenni passati, è morto in poche ore a causa di un attacco di cuore Gianni Mura. Aveva 74 anni. Prima alla Gazzetta (a 19 anni!) e poi a la Repubblica, Mura è stato fino ad oggi una colonna della storia del giornalismo italiano del Dopoguerra ma non è riuscito a vedere cosa saranno per il paese gli anni del Dopoepidemia: una professione che iniziò appunto da giovanissimo. A Repubblica, con rubriche memorabili, era in forze da qualcosa come quarantacinque anni.
I giornalisti sportivi che diventano gastronomici
Perché ne parliamo? Ne parliamo perché Mura fa parte di quella nidiata di giornalisti sportivi che si sono trasformati in abili e originali cronisti gastronomici. Si girava per manifestazioni, tornei, corse ciclistiche e campionati e, prima o dopo le partite e gli incontri, bisognava pur mangiare. Ecco come alcune grandi firme del giornalismo sportivo si sono tramutate in colonne della cronaca dell’enogastronomia.
Le recensioni di Gianni Mura
In questi giorni in cui tutti i ristoranti del mondo sono chiusi, dunque, salutiamo e celebriamo beffardamente un grande cronista di ristoranti. Gianni lascia sua moglie Paola e proprio con lei firmava la rubrica imperdibile sul Venerdì di Repubblica, dove ogni settimana recensiva una tavola inconsueta, inaspettata, completamente fuori dai giri e dalle mode. Tra tavole della tradizione aperte da cent’anni e ristoranti giovani e nuovi, inaugurati da poche settimane. Un esempio? L’ultimo premio (“miglior cena del 2019”) Mura lo tributò ai Due Platani di Parma, trattoria che si è aggiudicata quest’anno anche i “Tre Gamberi” sulla nostra guida. Un posto da riprovare non appena le condizioni lo consentiranno.
L’archivio della rubrica Mangia & Bevi
Su Repubblica la rubrica Mangia&Bevi è disponibile con un po’ d’archivio che ci permette di goderci parecchie recensioni suddivise per regione. Un bel modo per tributare un omaggio a Gianni Mura e anche per sognare forse, esorcizzando queste giornate di cattività. Gianni è scomparso a Senigallia, città celebre per i suoi ristoranti, in una zona delle Marche tra l’altro oggi devastata dall’Epidemia. In giornate in cui, crudelmente, non è neppure possibile celebrare funerali e salutare degnamente chi se ne va. Fonte: InformaCibo, Massimiliano Tonelli, 21.03.2020
Il Mangia e Bevi del Venerdi di Repubblica
Gianni e Paola Mura – l’illustrazione Stefano Savi Scarponi per la rubrica sul Venerdì di Repubblica
Dal 2016 con la moglie gestiva la Rubrica Mangia e Bevi del Venerdi di Repubblica che io ho sempre seguito perché amante del cibo e del vino.
Ogni tanto gli scrivevo perché non ero d’accordo con i suoi giudizi delle Osterie che lui recensiva. Lui sempre cordiale mi rispondeva, ma rimaneva sui suoi giudizi. Ultima l’Osteria del Treno di Milano dell’amico Angelo Bissolotti e locale di assoluto valore legato a Slow Food.
Avevo conosciuto Gianni Mura in un incontro della Nazionale di Tennistavolo (volgarmente ping pong) della quale ero Commissario Tecnico e mi aveva fatto grande impressione perché era una persona che mi ricordava qualcuno, non ho mai scoperto chi, ma ora con i ricordi de La Repubblica di oggi, l’ho finalmente capito: mi ricordava Gianni Brera. Altro appassionato di Sport, di Vino e di Cibo, anche lui da me conosciuto.
Gli piaceva il vino, il pecorino, il pane e salame, e così lo era anche negli articoli che scriveva, schietto, grande italianista..
Anni fa ci vedevamo una volta all’anno sempre alla Trattoria Il Volto di Vittorio Fusari (finché lui è stato lì) nel giorno in cui lui cucinava la Casoela perché aveva ucciso il maiale. E purtroppo l’ultima volta ci siamo visti anche al funerale di Vittorio… e abbiamo ricordato la ricetta di Vittorio della Casoela nella quale metteva anche delle cozze perché “davano un sentore di dolce all’insieme”. Silvio
«Un uomo del popolo, voleva bene ai perdenti e detestava gli arroganti.» Il nostro addio a Gianni Mura
«La cultura italiana perde un grande protagonista. Io personalmente perdo un grande amico». Sono queste le prime parole di Carlo Petrini, ancora incerte per la commozione, nell’apprendere della scomparsa di Gianni Mura, uno dei più grandi giornalisti del mondo e scrittore.
Uomo colto e onesto, coerente e generoso. Grande amico di Slow Food, diceva spesso che era l’unica tessera che aveva in tasca. «Ho conosciuto Gianni alla presentazione della Guida Osterie d’Italia nel 1989 a Milano. In sala era con un altro fuoriclasse del giornalismo: Gianni Brera. Da quell’incontro è nata un’amicizia che ha segnato anche un po’ la storia del nostro movimento. Aveva una capacità di lettura della realtà straordinaria, si poneva nei confronti degli altri con massima disponibilità e apertura. Questo lo ha avvicinato in modo armonioso e spontaneo al mondo contadino, ai produttori di vino che tanto amava, e ai cuochi dei quali gli piaceva raccontare non tanto e non solo le ricette ma la loro anima. Passioni che ha condiviso con la moglie Paola alla quale va un mio grande abbraccio».
Da gastronomo era contro le mode che hanno attraversato la cucina, prediligeva quella popolare e schietta. Dove il cuoco trasforma con maestria quello che i contadini, gli allevatori, gli artigiani del luogo gli portano. La cucina come manifestazione dell’amore verso la terra e i suoi frutti.
Forse era per la sua straordinaria abilità di usare le parole, di giocare con esse, di andare oltre l’ovvio, ma mai sopra le righe, per la sua capacità di ascoltare, il suo non usare la parola “io” (dote rara nei giornalisti), per la sua onestà intellettuale (era uno con la schiena dritta) se Gianni Mura è stato letto e amato veramente da tanti, anche da chi non si interessava di gastronomia e sport.
Leggerlo era come averlo di fronte, seduti a tavola con un bicchiere di vino. Rivivevi le gesta di un calciatore o la stronzaggine di certi frequentatori di stadi, o la grandezza umana di un atleta o i paesaggi del Tour de France, un altro suo grande amore. Nei sui pezzi non c’era solo la corsa, ma ci trovavi un riferimento alle albicocche del midi francese, o ai vini della Loira, o alla brasserie delle città che i ciclisti toccavano: quasi un tentativo di ricreare casa, i suoi punti fissi in ogni tappa.
Sicuramente uno dei suoi posti del cuore erano le osterie. Non solo un luogo dove mangiare, anche se Gianni era un buon gourmet e curioso scopritore di produttori e prodotti, ma anche dove incontrare persone, magari giocando a carte: «Veniva spesso qui – racconta Angelo Bissolotti dell’Osteria del Treno di Milano e amico da oltre trent’anni di Gianni -. Ricordo partite memorabili con il Piva, che battezzò il Pelé della scopa liscia, il Natalino e il Richetti». Gente del quartiere che frequenta l’osteria perché, come sottolinea Petrini: «Il legame forte con la Milano proletaria, quella più autenticamente popolare, con la Milano dei valori della socialità, Gianni l’ha sempre accudito e portato avanti». Perché Gianni era un uomo del popolo, voleva bene ai perdenti e detestava gli arroganti.
Gianni Mura, come pochi, ci ha dimostrato che non ci sono parti nobili e parti meno nobili in un giornale, ma che ci sono giornalisti che sanno fare il loro mestiere con amore, siano essi sportivi, gastronomici o politici. I suoi articoli vanno oltre la cronaca, ti trasmettono la voglia di essere in quei luoghi e di partecipare all’evento. Lo stadio, le strade del Tour o le osterie diventano un palco per raccontare anche altro: una società che cambia, persone grandi nel loro quotidiano, paesaggi che emozionano.
Una delle cose terribili di questi giorni è non poter stare vicino alle persone che si amano nel loro ultimo passaggio in questa vita, ma possiamo ricordare Gianni aprendo una buona bottiglia di vino e bevendo un bicchiere dedicato lui. Forse lui avrebbe voluto così. Prosit. Valter Musso, v.musso@slowfood.it,