Il foraging conservativo, ovvero la raccolta di piante selvatiche invasive allo scopo di trasformarle in alimenti, è alla base del progetto Selvatiq. Gin, bitter e vermouth i primi tre prodotti sul mercato
Del foraging, ovvero della pratica di raccogliere piante spontanee e commestibili per trasformarle in alimenti, se ne sta parlando da qualche tempo a questa parte. È l’ultima frontiera degli chef green inteso come recupero di pratiche antiche, ma soprattutto come atto pratico a difesa della sostenibilità ambientale. Tuttavia Valeria Margherita Mosca, pioniera della pratica del foraging e fondatrice di Wood*Ing Lab, è andata oltre. Per il lancio del progetto Selvatiq, avviato insieme Charles Lanthier imprenditore con solido background nel campo degli spirits, ha puntato sul foraging “conservativo” ovvero, come lei stessa ha spiegato “nella pratica di raccogliere quelle che sono piante invasive del nostro ecosistema. Invasive perché aliene, ossia importate da altre aree del mondo, o perché eccessivamente propagate dall’uomo”.
Gramigna e gemme di pino tra gli ingredienti
Una scelta, letteralmente, “di campo” che ha portato i protagonisti a esplorare lo scorso anno gli angoli più incontaminati della Valtellina e oggi lanciare sul mercato i primi tre prodotti a marchio Selvatiq. Si tratta di un bitter, di un vermouth e di un gin, quest’ultimo caratterizzato non tanto dal classico ginepro quanto dai fiori di tiglio, ma nella ricetta compare anche la salvia e il trifoglio, da 40% vol e realizzato in appena cinquemila bottiglie da mezzo litro. “Inizialmente il gin doveva avere i fiori di acacia come botanica dominante”, ha spiegato Valeria Mosca, “ma la stagione non ne ha permesso la raccolta e quindi ci siamo orientati sul tiglio”.
Già perché Selvatiq non è solo foraging conservativo e sostenibilità ambientale, ma anche accettazione delle stagioni e della variabilità climatica. Di certo il progetto è innovativo e meritevole di osservazione tanto da aver riscosso anche l’interesse di Ersaf Lombardia che ha aperto alla possibilità di far accedere alle aree verdi tutelate i raccoglitori di erbe e piante selezionate. Il bitter Selvatiq, ad esempio, ha come principale protagonista una delle piante più notoriamente infestanti: la gramigna, della quale si usano le radici. Mentre il vermouth trova nelle gemme di pino e di abete rosso, piante come il tiglio la cui grande diffusione è stata eccessivamente spinta dall’uomo, e nelle loro naturali note balsamiche la sua delicatezza ed eleganza.
I luoghi: Valtellina e il mantovano lungo il fiume Mincio
Tirature limitate, prezzi elevati ma sostenibili più di tanti altri considerato la ricerca e il lavoro manuale che c’è dietro (circa 70 euro per il gin; 60 euro per bitter e vermouth) e target iniziale il mondo della ristorazione. E forse pure quello del collezionismo considerato che ogni volta il prodotto può cambiare ingredienti e rappresentare pertanto un unicum. Il prossimo gin ad esempio, al debutto tra sei mesi, avrà botaniche e aromi diversi. Come ha sintetizzato Charles Lanthier “Non ci interessa la moda, ci interessa la sostenibilità ambientale e il territorio” e quindi, oltre agli ingredienti, a cambiare sarà pure il territorio. Esplorata la Valtellina, il team Selvatiq ha già infatti annunciato il prossimo “bacino” di raccolta da dove arriveranno i nuovi prodotti, al debutto prossimamente è prevista anche una bevanda analcolica, ovvero il corso del fiume Mincio che da Mantova sfocia nel Po. “Siamo arrivati in realtà fino al delta del grande fiume”, ha spiegato Valeria Mosca, “concentrandoci su quelle piante invasive che in realtà danneggiano l’ambiente autoctono sia vegetale sia, in qualche caso, animale. E una di queste botaniche prossime protagoniste del progetto Selvatiq è il fiore di loto, bellissimo ma che con la sua diffusione sta comprimendo spazi vitali per altre specie vegetali e togliendo ossigeno alla fauna acquatica». Fonte: Il Sole 24 Ore, Maurizio Maestrelli, 17.02.2020