I crostacei non sono immuni dalla contaminazione da microplastiche, lo ribadisce uno studio delle Università di Cagliari e Ancona su due specie di gamberi e scampi, di grande interesse commerciale, prelevate in 14 diversi siti lungo le coste sarde
Scampi sui fondali della Sardegna. Fotografie per gentile concessione Oceana Foundation
L’ingestione di microplastiche, è sempre più documentata in diversi organismi marini che frequentano la colonna d’acqua che va dalla superficie agli strati più profondi. Poco si sa dell’incidenza sugli abitanti dei fondali di questo preoccupante fenomeno, in grado di penetrare negli ecosistemi marini fin dove la luce naturale si spegne. Uno studio, recentemente pubblicato su Environmental Pollution, ha mostrato come in due specie di crostacei di grande interesse commerciale, gli scampi Nephrops norvegicus ed i gamberi viola Aristeus antennatus, sono stati ritrovati frammenti di plastica non trascurabili.
La ricerca, è stata condotta da un team di studiosi delle Università di Cagliari e delle Marche, insieme ai Conisma (Consorzio interuniversitario per le scienze del mare) di Cagliari ed Ancona. Il monitoraggio, è stato effettuato in Sardegna e rappresenta un tassello importante per capire lo stato dell’inquinamento da plastiche nei fondali del Mediterraneo, in particolare quelli battuti dai pescatori d’altura.
Entrambe le specie oggetto dello studio, sono state prelevate in 14 siti nei dintorni dell’isola sarda, a profondità comprese tra 270 e 660 metri. Sono stati analizzati un totale di 89 esemplari di scampi e 63 di gamberi, nei cui contenuti stomacali sono state estratte molte particelle riconducibili a microplastiche. La presenza maggiore (83% dei campioni) è stata trovata negli scampi, mentre nei gamberi la percentuale di frammenti ingeriti è scesa al 67% dei campioni.
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I punti rossi e blu indicano i siti di raccolta dei campioni. Mappa estratta dall’articolo scientifico di riferimento
Dimensione e composizione delle particelle era significativamente differente tra le due specie, negli scampi principalmente composta da pellicole e frammenti derivati da polietilene e polipropilene (plastica monouso), nei gamberi invece da filamenti di poliestere. L’abbondanza di questi materiali osservata nei loro stomaci, è tra le più alte rilevate nelle specie mediterranee, considerando pesci ed invertebrati.
“Mentre nei gamberi viola c’erano al massimo 1-3 particelle, nello scampo se ne trovavano fino a 42, un vero record”, ha spiegato Alessandro Cau, primo firmatario della ricerca per conto del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università di Cagliari. “La differenza, è probabilmente dovuta alle differenti abitudini alimentari delle due specie: il gambero si nutre tra il fondale e qualche metro sopra ed in maniera comunque selettiva, mentre lo scampo è letteralmente un “aratro” del mare, che ingerisce senza preventiva selezione tutto ciò che riesce a intercettare mentre si sposta. Per questo motivo lo scampo, in particolare, è un buon bioindicatore della presenza di microplastiche nei fondali”, ha rimarcato Cau.
Nello studio, infatti, lo si propone come specie bandiera della contaminazione da plastica nelle profondità, così come la tartaruga di mare può esserlo per la superficie e i tratti costieri. Con l’aggravante che gli scampi, così come i gamberi, sono comunemente presenti nei menù più ricercati dai buongustai.
Per Cau, “queste specie possono restituire nei nostri piatti le nostre malefatte, in termini di inquinamento da rifiuti abbandonati nell’ambiente. Sono dei dati allarmanti, ma non bisogna fare allarmismo. Non ci sono evidenze scientifiche che una così piccola dose di plastiche possa causare danni all’uomo, ma sicuramente causa dei danni agli organismi che le hanno ingerite, con effetti deleteri quali falsa sazietà, accrescimento rallentato e riproduzione compromessa, aspetti che potrebbero creare delle ripercussioni sulle popolazioni di questi prelibati crostacei”. Fonte: National Geographic, Simone Repetto, 3.12.2019