Alimentazione e ricerca. Slow Food apre alle nbt
La sostenibilità è una delle chiavi che servono a leggere Slow Food. Il cibo, per piacere a Carlin Petrini, dev’essere buono e giusto, ma anche pulito, e le Nbt soddisfano questi requisiti. «Io sono per implementare la ricerca sulle New breeding technique (Nbt), Non si pensi che siamo ascientifici o antiscientifici» ammette lui stesso al termine della presentazione del primo Rapporto Sostenibilità del Sistema Pollenzo.
Da due anni l’Università di Scienze gastronomiche sforna lauree tutte sue, mentre prima era una specializzazione di Agraria, e il fondatore di Slow Food prende una posizione che in altri tempi avrebbe sorpreso. Come la Coldiretti, che dalle colonne di Avvenire ha suggerito al ministro Teresa Bellanova di difenderlo in Europa, Petrini ricorda che il genome editing non c’entra nulla con gli Ogm e chiede che sia rivista la sentenza della Corte europea che vieta di sperimentarli.
Ma pone una condizione: «Sono favorevole solo se la ricerca sarà pubblica e se non si farà partire, con questo via libera, dei meccanismi che portino alla brevettabilità di specie animali e vegetali ottenute con questi processi biologici». Le due partite sono collegate da fili invisibili che si intrecciano con quella della sostenibilità, architrave del Sistema Pollenzo. Se n’è parlato ieri nella Tenuta Reale dove Carlo Alberto creò la Versailles dei vini e il generale Staglieno inventò il Barolo: insomma, la Camelot della scienza applicata al buon bere, reinventata nel 2004 come campus del cibo buono, pulito e giusto. Al primo, Carlo Petrini ha dedicato quarant’anni, nei quali ha attraversato – letteralmente – tutta la cultura del Paese, dal Pdup al dialogo con papa Francesco sulla Laudato si’. Al terzo ha improntato il suo ateneo “visionario”, dandogli un taglio internazionale e potenziando fortemente il diritto allo studio: sulle rive del Tanaro chi può paga fino a 15mila euro per studiare le virtù della nocciola gentile del Piemonte e la vera storia della bagna cauda, ma 260 studenti sono beneficiari di esonero e il 10% accede ai corsi grazie a borse di studio.
Il cibo pulito è la nuova fase di quest’impegno. Perché, se, come ha ricordato il rettore Andrea Pieroni, la sostenibilità dev’essere anche economica e Pollenzo sta in piedi grazie alle rette di “chi può” (che coprono il 60% del bilancio) ma anche grazie agli sponsor (Autogrill, Colussi e Costa Crociere solo per citarne alcuni) che lo utilizzano come centro di ricerca, l’ambizione, ora, è diventare l’Università di riferimento sui temi della sostenibilità in ambito food. L’apertura alle Nbt, mutazioni non transgeniche, che si ispirano ai processi biologici dei batteri, effettivamente è un paso doble, per Slow Food ancor più che per Coldiretti, dopo decenni di guerra a Monsanto, ma risponde al desiderio di trovare una via praticabile alla sostenibilità nella produzione di cibo, tema caldo nei giorni del sinodo per l’Amazzonia, dove Petrini è stato invitato dal Papa come uditore.
L’ateneo di Pollenzo, che in un quindicennio è passato da sessanta a cinquecento studenti, fa già parte della RUS (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile) e punta a diventare un’avanguardia mondiale della gastronomia green. Sempre seguendo l’idea che il cibo è relazione e in questo senso, ha ripetuto ieri il fondatore, «non importa se nasceranno decine di università di scienze gastronomiche, purché noi restiamo fedeli alla nostra missione, che è internazionale nel senso che è aperta al mondo; grazie a questo stile tutto nostro Pollenzo genera quel senso di appartenere a un’unica terra madre che permette di formare dei professionisti veramente appassionati al lavoro che fanno». Fonte: Avvenire, Paolo Viana, 18.10.2019