Negli scritti e nei disegni del genio del Rinascimento sono molti i riferimenti a quella che non è sbagliato chiamare cultura gastronomica in senso moderno
Si è recentemente indagato sul legame profondo e quotidiano che Leonardo da Vinci aveva con il vino, del quale era grande conoscitore e produttore, ma la sua passione e il suo genio lo portarono a interessarsi anche ai temi del cibo, della cucina, dell’alimentazione più in generale, tanto da poter ravvisare in alcuni dei suoi scritti e disegni richiami importanti per la definizione di quella che non è sbagliato chiamare cultura gastronomica in senso moderno.
Nativo del piccolo borgo agricolo toscano di Vinci, possiamo ipotizzare che sin dalla sua infanzia sulla sua tavola non siano mai mancati i prodotti tradizionali tipici di quei luoghi: pane, olio formaggio frutta uova.
La prima cosa che bisogna evidenziare è che il modello alimentare di Leonardo, oltre a rifarsi alle tradizioni agricole della sua terra natia, deve essere inserito in un contesto gastronomico più ampio, contesto che vide l’Italia del XV-XVI secolo assurgere ad archetipo per tutte le maggiori corti europee e che merita di essere brevemente illustrato.
La storia della cucina Rinascimentale nel nostro Paese,
vede nel periodo in questione un proliferare di testi e ricettari finalizzati alla miglior preparazione dei cibi, ai principi di qualità delle materie prime da utilizzare, alla disposizione degli strumenti adeguati alla loro realizzazione, ai ruoli a ed alle funzioni del personale di servizio, alla ottima disposizione della tavola e della sequenza delle portate.
In Italia più che nel resto d’Europa, fanno la loro comparsa nelle diverse corti, cuochi e professionisti della tavola che scrivono numerose opere dedicate alla gastronomia. Nei loro scritti, che riscuotono un enorme successo editoriale, la tavola non è solo il luogo deputato al nutrimento, ma anche e soprattutto l’ambiente ideale destinato alla civile conversazione, scuola del saper vivere, delle buone maniere improntate agli ideali cortesi di bellezza, grazia e disinvoltura; in definitiva il banchetto Rinascimentale è una rappresentazione del potere che si esprime per mezzo dell’ostentazione dei simboli della tavola attraverso i quali è esaltata la grandezza del principe. Roma, Mantova, Milano e Firenze solo per citare alcune città, esercitano un influsso senza precedenti in tutti gli ambiti, non ultimo quello relativo all’alimentazione.
E’ in questo panorama culturale che va posto il rapporto tra Leonardo il cibo e il suo interesse per le pratiche alimentari. Resteremmo però delusi se immaginassimo il genio toscano intento a preparar intingoli o a redigere ricettari; il rapporto che il Maestro ebbe con il cibo va ricondotto in termini prevalentemente scientifici, salutistici e tecnici, caratterizzati da un profondo rispetto per la natura e per ogni forma di vita.
Dai suoi scritti emerge infatti in modo chiaro l’aspetto virtuoso, per non dire sacrale, della percezione che Leonardo ha del cibo, fonte di benessere, contenitore e datore di vita: “La formica trovato un grano di miglio, il grano sentendosi preso da quella gridò – se mi fai tanto piacere da lasciarmi fruire il desiderio di nascere, io ti renderò cento di me medesimi- e così fu fatto “ (Cod. At. fol. 188 v)…
Esperto appassionato di botanica Leonardo studia le materie prime, inventa macchine e utensili per la loro lavorazione, ragiona sulle caratteristiche dei territori di produzione, codificando disciplinari di alcuni prodotti. Il suo approccio a ciò che ci nutre lo porta ad esplorare le proprietà degli alimenti in relazione alla salute del corpo.
A questo proposito scrisse favole, “profezie”, e numerosi indovinelli e rebus ispirati al tema del cibo, nonché diversi prescrizioni alimentari quanto mai attuali “ Se voi star sano osserva questa norma: non mangiar sanza voglia e cena lieve, mastica bene e quel che in te riceve sia ben cotto e di semplice forma” ( Cod At. fol. 213 v.), non mancano neanche riflessioni a carattere scientifico “Al corpo […] se tu non li rendi nutrimento eguale al nutrimento partito, allora la vita manca di sua valetudine; e se tu levi esso nutrimento, la vita in tutto resta distrutta”.
Su quest’ultimo passaggio è utile fare qualche considerazione, visto che può essere considerato a buon diritto come primo rilevante contributo del nuovo approccio scientifico, nato con il Rinascimento.
Leonardo da Vinci, per primo, riflette sulle funzioni organiche del cibo e sul suo apporto calorico, intuisce che la nutrizione altro non è che il processo di utilizzazione e trasformazione dei nutrienti nel corpo, esprimendo così il fondamentale concetto di metabolismo energetico, che si studierà solo a partire dal XIX secolo.
Sempre nel Codice Atlantico, è possibile trovare precisi riferimenti ad erbe e spezie: tra queste curcuma, aloe, zafferano, fiori di papavero, fiordalisi, ginestre, olio di semenza di senape e olio di lino.
Considerate le sue origini, Leonardo dedica particolare attenzione a due prodotti tipici della sua terra: l’olio d’oliva e il grano. Sul primo le sue riflessioni si focalizzano sui i processi di produzione e sulla tecnologia d’estrazione, basti pensare ai disegni relativi a macine, mole e congegni di natura diversa ( Cod, Madrid I, fol. 46v.) e ad alcune note manoscritte: “Sappi che tutti gli olii che sono creati ne semi o frutti, sono chiarissimi di lor natura, ma il colore giallo che tu vedi loro non nasce se non dal saperlo trarre fuori” ( Cod. At. fol. 304v.).
Stesso discorso vale per il grano, per il quale Leonardo disegna un congegno meccanico per la macinazione che troviamo nel Codice Atlantico (fol. 87r) con la dicitura “modo di macinare grano”, del resto nei suoi numerosi elenchi per l’approvvigionamento che troviamo nei suoi scritti o al margine dei suoi disegni, il pane non mancava mai.
Ancora nel prezioso codice conservato a Milano nella Biblioteca Ambrosiana, troviamo diversi disegni, come quello del moderno cavatappi, del trita aglio, dell’affettatrice e perfino di un macinapepe. Tra gli appunti e i disegni di meccanica, anatomia e geometria, sono emersi anche gli studi e gli esperimenti per tenere calde le pietanze ed eliminare il fumo e i cattivi odori dalla cucina. Ma non c’è dubbio che il suo apporto alla gastronomia più suggestivo sia il famoso girarrosto meccanico (Cod. At. fol. 21 r.), ossia uno spiedo dotato di eliche rotanti che giravano con il calore della fiamma.
A proposito di carne va definitivamente sfatato il falso mito di Leonardo vegetariano. Questo convincimento nasce sulla base di alcuni elementi, tra i quali una lettera dell’esploratore Andrea Corsali diretta a Giuliano de Medici del gennaio 1516 nella quale si parla di Leonardo come di un convinto assertore del vegetarianesimo:
“E’ habitata da gentili chiamati Guzaratti: sono grandissimi mercanti. Vestono parte di epsi alla apostolica et parte ad uso di Turchia. Non si cibano di cosa nissuna tenga sangue et non consentono infra loro nuocere a nissuna cosa animata, come el nostro Leonardo da Vinci: vivono di risi, lacte et altri cibi inanimati”.
In realtà il genio toscano era un consumatore di carne come si evince dalle numerose liste di approvvigionamento cui abbiamo fatto cenno, dove in più di una volta compare questo alimento, anche se possiamo ipotizzare che, dato il suo grande amore per il mondo animale, ne limitasse l’assunzione . “L’omo e li animali sono propi transito e condotto di cibo, sepoltura d’animali, albergo de’ morti, facendo a se vita dell’altrui morte, guaina di corruzione” (Cod. At. fol. 207v.).
Se è vero che Leonardo nella dimensione domestica abbia seguito un regime alimentare ben regolato, per non dire morigerato, ben altro approccio al cibo ebbe come “Mastro di cerimonie” presso la corte di Ludovico il Moro, per il quale nel 1489 organizzò a Tortona il banchetto nuziale del duca Giovanni Galeazzo con Isabella d’Aragona. Ludovico lo incaricò, di realizzare non un semplice banchetto, ma qualcosa di mai visto prima, un trionfo non solo di vivande, ma anche di musica e di poesia.
Sembra che su precisa disposizione di Leonardo, per la prima volta nella storia, le portate furono servite in tempi successivi, anziché essere disposte tutte insieme all’inizio della festa. Ogni portata, accompagnata da canti, musiche, balli e poesie, fu preceduta da un carro allegorico ispirato al tema mitologico-encomiastico scelto a seconda delle vivande. Di questo evento, con relativo menu delle pietanze servite, ci è rimasta l’opera in versi, di Baldassarre Taccone, poeta della corte sforzesca, tratta da un incunabolo lombardo del 1489 oggi conservata a Lugano presso la Fondation BING (Bibliothèque Internationale de Gastronomie).
Ordine de le imbandisone se hanno a dare a cena
Prima imbandisone
Primo gambari
triumpho uno vitello inargentato qual
serà pieno de ucelli vivi con duy vitelli cocti
pieni de pernice e fasani cocti donato da
Mercurio…..
Item per tavole de sotto pernice neli piatelli o ver fasani con li gambari
Lo alessio son suo sapore biancho e pernice
Una a brodo lardero per menestra
triumpho uno agnello dorato donato da Iasone
Uno intermezzo
Teste de vitelli cocti col corio
triumpho testa una de porcho salvatico
donato da Atalanta
un fier cinghial mandato da Diana…
Uno altro intermezo de lepore galatina
triumpho uno cervo cotto donato da Diana
el troppo ardire d’Acteon mi spiacque
perché me vide dentro al fonte ignuda
in cervo lo mutai con le sparse aque
Alcun dicon per questo chio fu cruda
ma non fu vero e le dovuta cosa
chel temerario in bestia el corpo chiuda
pur al suo fin esser gli vo pietosa
Rosto sutto de caponi lonzi de vitelli columbi
salsa verde limoncini confecte et olive
Triumphi pavoni dui che conducano uno
carro presentato da Iris
Nuntia de Giunon sono io avisa
celsa madona intorno alla mia veste
portami el tuo signor per sua divisa…”.
In qualità di Maestro di cerimonia e responsabile degli allestimenti presso la corte sforzesca, Leonardo affronta anche lo spinoso problema del bon ton, sottolineando come sia necessario presentarsi a tavola puliti, lindi e profumati, “to’ buona acqua rosa e mòllatene ne le mani; di poi togli del fiore di spigo e fregatelo fra l’una mano e l’altra, ed è buono” (Cod At. fol. 807 recto).
Proprio all’acqua di rose è riconducibile l’unica ricetta realmente creata da Leonardo, una bevanda estiva che, al di là delle fantasiose suggestioni che lo vedono come inventore di grandi piatti e addirittura come gestore di un ristorante, notizie riportate nel fantomatico Codice Romanoff, è l’unica creazione riconducibile in ambito gastronomico al Maestro.
A questo punto è utile qualche precisazione su questo manoscritto, la cui autenticità ad oggi è fortemente messa in dubbio. Si tratterebbe della trascrizione in italiano fatta da tal Pasquale Pisapia nel 1931 di un piccolo compendio di ricette, annotazioni di galateo a tavola, regole igieniche del tutto nuove per l’epoca, attribuito al grande artista-scienziato e conservato presso l’Hermitage di San Pietro Burgo in cui sarebbe arrivato nel 1835.
I responsabili del museo negano l’esistenza di una simile opera di Leonardo nel loro istituto, rendendo a questo punto davvero difficile poter dimostrare l’autenticità del manoscritto.
Secondo il Codice, a Firenze il giovane Leonardo sarebbe stato, come già detto all’inizio, garzone alla taverna delle Tre Lumache su Ponte Vecchio, di cui in un secondo momento sarebbe addirittura diventato il cuoco; avrebbe inoltre aperto una locanda con Sandro Botticelli, chiamata Le Tre Rane di Sandro e Leonardo.
Tornando alla bevanda la ricetta prevede l’uso di “Zucchero, acquarosa, limone e acqua frescha colati in tela biancha: e questa è bevanda di Turchi la state” (Cod. At, fol.482r.).
La ricetta di questa bibita rinfrescante è databile agli ultimi anni di vita dell’artista-scienziato, cioè al periodo francese, attorno al 1517. La descrizione che è arrivata sino a noi è precisa negli ingredienti e nel sistema di filtraggio; doveva essere servita ‘fresca’ e Leonardo la definisce bibita estiva per i Turchi, con evidenti riferimenti all’Oriente.
Prima di concludere non potevano mancare richiami al cibo nelle opere pittoriche del grande Maestro, dove diventa materia di un linguaggio altamente spirituale: è il caso del Cenacolo, dove sulla tavola domina incontrastato del pesce tagliato in tranci (alcuni dicono anguilla) guarnito con agrumi, piatto diffuso nella cucina rinascimentale. Questi due ingredienti hanno un forte aspetto simbolico cristiano: il pesce è simbolo cristico, e l’arancia rinvia al Paradiso terrestre.
Se è vero che il cibo dà alle storie una consistenza fisica che diviene suggestione, allora è possibile ritrovare questa suggestione nel rapporto che Leonardo ebbe sia con il vino che con il cibo. Ma se nel primo caso l’apporto dato dal Maestro risulta evidente, nel caso dell’alimentazione sembra più sfumato ma non per questo meno importante. I precetti, le novelle e i disegni ci consegnano un Leonardo interessato più al cibo come nutrimento e dono della natura che come prodotto finale di elaborate ricette. Quel che colpisce di questo rapporto non è tanto l’aspetto esteriore riconducibile alla magnificenza dei banchetti rinascimentali, quanto quello più intimo ed interiore, che ci porta a cogliere di questo legame gli elementi più spirituali profondi in relazione alla grande armonia che regna nella natura. Fonte: National Geographic, Gastone Saletnich, 24.06.209