Il mare, sempre più inquinato, si cura partendo dalla terra. Plastica nemico n. 1, l’80% dei rifiuti spiaggiati. Petrini, presidente Slow Food: “è la cultura che deve diventare guida dell’economia”
“È la cultura che deve diventare guida dell’economia, e un nuovo concetto di rigenerazione del Mediterraneo che restituisca al Mare Nostrum una visione armonica, in sintonia tra tutti i soggetti che intorno al mare vivono”. Parola del preside di Slow Food Carlo Petrini, oggi a Genova al via si “Slow Fish”, la kermesse di scena da oggi al 12 maggio al Porto Antico della città ligure, edizione dedicata al tema del “Mare, bene comune”, dove tra degustazioni, cooking show e laboratori, si riflette anche su temi legati all’ambiente e all’inquinamento dei mari. Con la plastica che è il nemico n. 1, con 179.023 particelle plastiche per km quadrato e l’80% dei rifiuti spiaggiati.
E se come sempre hanno un grande peso le scelte dei consumatori e delle aziende, un ruolo sempre più importante nella lotta all’inquinamento, ce l’ha la scienza. “Noi ricercatori vorremmo finalmente essere ascoltati nei nostri inviti alla politica e all’economia per un radicale cambio di paradigma” ha evidenziato Silvio Greco, presidente del Comitato scientifico di Slow Fish. “Da diversi anni lanciamo l’allarme, ma di cambiamenti non ne abbiamo visti moltissimi. Invece è ora di aprire gli occhi: non possiamo più pensare al mare come a un contenitore, dovremmo iniziare a considerarlo come l’organismo vivente straordinario che in realtà è. Eppure il mare sta diventando una discarica. Parlare delle isole di plastica – una di esse è grande quasi quanto la Francia – fa sempre molta impressione, ma fa ancora più impressione pensare che le isole sono solo il 3-5% della plastica che c’è in mare, perché la maggior parte è quella che sta sui fondali, in profondità”.
“Forse non consideriamo che oltre alle questioni ambientali, oltre alla nostra salute, il mare ha anche un valore economico importante” afferma Roberto Danovaro, della stazione zoologica Anton Dohrn. “Il mare fa aumentare il Pil e offre opportunità di lavoro. Possiamo anche dare i numeri: il valore economico di un ettaro di posidonia è 23.000 euro all’anno, e negli ultimi decenni abbiamo perso l’84% delle praterie di foreste algali. È come se trasformassimo una ricca foresta in un deserto: stiamo perdendo miliardi di euro a causa della nostra cattiva gestione del mare. Ma è possibile gestire un territorio senza conoscerlo? Col mare lo stiamo facendo: non sappiamo dove ci sono praterie, quali zone sono inquinate, non le stiamo mappando: e c’è una esigenza reale di sapere, di sviluppare una carta vocazionale dei mari italiani per comprenderli”.
“Il mare non è una piscina in cui nuotano i pesci, ma un organismo che va considerato nel suo insieme. Al mare di noi in fondo non importa nulla – ha aggiunto Paola Del Negro, dell’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale – ma a noi dovrebbe interessare tantissimo. Plastiche, acidificazione, cambiamento climatico: ogni volta ci focalizziamo su un allarme diverso, poi passiamo al successivo. Questo non significa che siamo riusciti a risolvere un problema, ma che essi insistono tutti contemporaneamente. L’allarme più recente riguarda la presenza di specie aliene nei nostri mari: in alto Adriatico si sta recentemente registrando la presenza di un organismo gelatinoso, un tipo di ctenoforo che è diventato infestante, si riproduce a grandissima velocità, e in estate riempie le nostre acque. È vorace di zooplancton, sottraendo il cibo a molti pesci, come le acciughe, di cui divora anche le larve. I pescatori sono colpiti al 100%. Dobbiamo avere la capacità di mitigare i problemi, perché risolverli spesso non è più possibile”.
“Il mare è una risorsa preziosa, che offre grandi opportunità – ha rilanciato Salvatore Micillo, sottosegretario del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – ho la fortuna di avere la delega alla tutela del mare e di poter lavorare in un momento in cui l’ambiente in generale, e la salvaguardia del mare in particolare, sono tornate al centro dell’azione di Governo. Oggi a Slow Fish inauguriamo anche il primo di una serie di incontri all’interno della campagna #IoSonoMare, che abbiamo lanciato in collaborazione con Ispra Snpa, per raccontare ai cittadini lo stato del mare e quanto lo Stato fa per il mare. Il marine litter è un problema serio, con gravi ripercussioni anche sulla catena alimentare, e se pensiamo che anche dai dati del monitoraggio marino, che presentiamo oggi, è emerso che circa l’80% dei rifiuti trovati in mare e sulle spiagge è composto da plastica, capiamo la portata del problema. Oltre alla grande campagna di sensibilizzazione #PlasticFree, il 4 aprile scorso è stata approvata in Consiglio dei Ministri la legge Salva Mare che ci aiuterà a salvare i nostri mari dal disastro ambientale a cui li stavamo condannando. Finalmente i pescatori potranno portare a riva tutta la plastica pescata (il 50% del pescato), che fino a oggi erano costretti a ributtare in acqua, aiutandoci a ridurre la presenza di rifiuti in mare. I pescatori che diventeranno “spazzini” del mare potranno avere un certificato ambientale e la loro filiera di pescato sarà adeguatamente riconoscibile e riconosciuta”.
Ma non c’è solo l’inquinamento, a cambiare lo stato di salute del mare. Al 2018 sono state calcolate 263 specie non indigene nelle acque italiane, di cui il 68% ha stabilito popolazioni stabili lungo le nostre coste. “Questo dato ci dice che la bioinvasione nel Mediterraneo è in costante aumento e, per quanto riguarda le specie provenienti dal Mar Rosso, il cambiamento climatico ha avuto un effetto determinante, sia attraverso la modifica delle correnti, che hanno consentito l’arrivo di queste specie dai mari orientali, sia rendendo l’ambiente più favorevole a specie tropicali” aggiunge Franco Andaloro, esponente del Comitato scientifico di Slow Fish. “Quindi se da un lato si riducono le specie introdotte volontariamente dall’uomo con l’acquacoltura, dall’altro aumenta la migrazione di quelle che arrivano attraverso il canale di Suez. La conservazione dell’ambiente è essenziale in quanto si è evidenziato che le specie aliene sono meno presenti in ambienti sani e protetti”. Un tema, questo, analizzato anche all’interno del programma di Slow Fish, dove cuochi e pescatori si confrontano e raccontano come stanno cercando di trasformare un problema in una risorsa. “È infatti importante un loro utilizzo alimentare per limitarne la diffusione”, conclude Andaloro.
Ma, di certo, sono la plastica ed i rifiuti che finiscono in mare la minaccia più grande.
Grazie al monitoraggio effettuato e presentato oggi a Genova, è possibile avere una prima base di riferimento sulla quantità dei rifiuti marini. Tra le aree, monitorate due volte l’anno, troviamo le spiagge, le stazioni di profondità, la superficie marina e gli esemplari di tartarughe spiaggiate e successivamente analizzate. “Ne emerge un quadro significativo” commenta Silvio Greco.
“Con una media di 777 rifiuti spiaggiati ogni 100 metri lineari. La plastica – incluse bottiglie, sacchetti, cassette in polistirolo, lenze da pesca in nylon – emerge come il materiale più abbondante con una percentuale dell’80%. Tra i 10 e gli 800 metri di profondità la media degli oggetti per km quadrato passa da 66 e 99: anche qui la plastica è il materiale predominante con il 77%, rappresentata da buste, involucri per alimenti e attrezzi da pesca. Significativa soprattutto la densità dei microrifiuti plastici inferiori ai 5 mm ritrovati sulla superficie marina, che è di 179.023 particelle per km quadrato” continua Greco. “Questo ci fa riflettere soprattutto sull’incuria che abbiamo avuto nei confronti del mare in passato, perché queste particelle sono il risultato della frammentazione di tutto ciò che abbiamo gettato indiscriminatamente pensando che il mare fosse la nostra discarica naturale». Basti pensare infatti che i tempi di degradazione in mare per le bottiglie di plastica sono stimati in 500-1000 anni, mentre passiamo a 20-30 per i bastoncini cotonati e a 10-20 anni per le buste di plastica”.
Rifiuti che, ovviamente, hanno conseguenze sullo stato della biodiversità marina, pesci e tartarughe in primis. Dall’analisi di 150 esemplari di tartarughe Caretta spiaggiate è emerso che il 68% presentava plastica ingerita.
“Diversamente da quanto atteso, l’80% dei rifiuti plastici spiaggiati censiti nelle spiagge risulta derivare dai fiumi, mentre il 20% è scaricato direttamente in mare. Dato, questo, che dovrebbe farci riflettere in merito al fatto che la cura dei mari comincia dai nostri comportamenti a terra” continua Greco. Fonte: WineNews, 10.05.2019