Tra sicurezza alimentare, informazione, responsabilità di filiera e consumatori
Il focus, firmato da Coop Italia, a Terra Madre e Salone del Gusto. Tra scelte, anche radicali, da compiere, e un paradigma di filiera da ripensare
La libertà del cibo passa dalla sicurezza alimentare in primis, ma anche dalle informazioni su quello che realmente mangiamo, perché i consumatori siano liberi di scegliere. Ma passa anche dalla “liberazione” del cibo e della sua nocivi della salute. Obiettivo, quest’ultimo, particolarmente ambizioso, e che per essere raggiunto richiede un cambio di paradigma profondissimo a livello di approccio al cibo, di filiera e di mercato. Riflessioni che arrivano da “La naturalità del cibo come libertà”, focus firmato da Coop Italia a Terra Madre e Salone del Gusto, a Torino (20-24 settembre).
“In Italia la sicurezza alimentare è legata alla salute, prima ancora che al commercio – ha sottolineato Maria Caramelli, direttrice Istituto Zooprofilattico Piemonte – e nel nostro Paese il
cibo è sicuro. La presenza di contaminanti nel cibo, in Italia, dai pesticidi ai farmaci, è la più bassa d’Europa, siamo sotto l’1% dei cibi con qualche contaminazione, la media Ue è del 2% Ue, fuori dall’Europa siamo al 6%. Vuol dire che il nostro sistema sanitario e la nostra cultura del cibo ci consentono una sicurezza straordinaria rispetto al resto del mondo. La sicurezza alimentare è un prerequisito per vendere, deve essere a priori, un cibo non sicuro non si vende, e dare un messaggio di questo tipo è fondamentale. Il nostro sistema di controlli va raccontato di più, è un’altra vetrina possibile del nostro patrimonio alimentare. Poi bisogna capire anche che sicurezza non è dire no a tutto: Ogm, antibiotici e così via. E qui non posso non dire che gli Ogm non sono pericolosi, sebbene sia lecito non introdurli se la popolazione non li vuole, ma il no a priori a tutto non ha senso, e un po0 di informazione in più su cosa è sicuro e cosa è pericoloso è fondamentale, per consentire alle persone una scelta consapevole”.
Certo è che il cibo che mangiamo è materia complessa, perché se sempre più si fa strada tra i consumatori la richiesta di alimenti salubri e naturali, è altrettanto vero che l’industria alimentare non opera sempre in questo senso.
“E io mi chiedo quand’è che abbiamo cominciato ad assorbire in modo becero e senza protestare questa valanga di additivi nel cibo – ha provocato Pietro Sardo, presidente Fondazione Slow Food per la Biodiversità – coloranti, nitriti, fermenti industriali. Oggi abbiamo tanti troppi additivi, che per carità, non sono nocivi, io mi fido dei controlli. Ma è un problema culturale, il cibo è ridotto ad un ammasso di cose che non ha più nulla di naturale.
Dobbiamo salvaguardare la biodiversità alimentare. Per i nostri Presìdi dei salumi, per esempio, abbiamo deciso che non avranno più nitriti e nitrati, senno sono fuori. Anche Coop ha scelto questa via. Che sarà vincente. I consumi di carne caleranno in modo drastico, e al loro interno i salumi avranno un crollo di cui non ci rendiamo conto. L’unica difesa è dire: produco un salume che rispetta il benessere animale, rispetta i territori e non usa additivi”.
Filosofia incarnata, da anni, da Massimo Spigaroli, chef stellato e produttore di salumi d’autore con L’Antica Corte Pallavicina.
“Dobbiamo inquadrare il problema. Sui salumi, per esempio, dobbiamo ricordare che fino ai primi del 1900, tutti i maiali che usavamo in Italia erano razze autoctone, avevano carni rosse quasi come i cinghiale, il problema di fare un salame di un bel rosso non esisteva. Poi è arriva l’industrializzazione ed il maiale bianco, e per dare lo stesso colore alle carne è servito il nitrato.
Un buon salume è fatto di carne, sale, pepe, al massimo aglio, vino o qualche spezia. Oggi se leggiamo un’etichetta di un salame c’è scritto un’infinità di ingredienti, è preoccupante. È la distruzione di un sistema artigiano che pian piano stiamo perdendo”.
“Affrontare la questione della carne e dell’allevamento è un discorso enorme, un tabù della nostra epoca. Tutti sappiamo che mangiamo carne che arriva da allevamenti intensivi che producono esternalità negative – ha sottolineato Stefano Liberti, giornalista e autore dell’inchiesta “Prosciutto Nudo” – scarti, escrementi, alimentazione non naturale, ed è un problema globale. Noi alleviamo 12 milioni di maiali all’anno, che mangiano la soia prodotta in Brasile fatta in quantità industriale e che porta al disboscamento dell’Amazonia. Poi negli allevamenti intensivi si ammalano, e quindi gli vengono dati tanti antibiotici, che ammesso che non finiscano poi nella carne, finiscono comunque nei terreni. E quando noi compriamo carne di maiale o di pollo o a basso costo, dobbiamo pensare alle conseguenze su l’ambiente e sulla la società. È un discorso che riguarda tutto il pianeta, è un modello di industria della carne che nasce negli anni ‘70 in Usa, ora arriva in Cina (dove si allevano 700 milioni di maiali), è necessario un ripensamento di questo modello. Lo sta facendo la gdo, come Coop, con linea senza antibiotici, unica in Italia. Oppure serve un ripensamento più radicale, ipotizzando di tornare ad una disponibilità di carne come era negli anni ‘50, quindi che mangi carne 1-2 volte a settimana, quindi meno, ma di maggiore qualità, anche se costa di più, che fa meglio alla salute e che abbia una filiera produttiva migliore anche per l’ambiente”.
Altro aspetto fondamentale, pi, è quello di “riappropriarci del tempo necessario per fare la spesa consapevolmente, per preparare il nostro cibo quotidiano. Questo è il massimo esercizio della nostra libertà”, ha sottolineato Andrea Pezzana, direttore SoSD Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino.
L’aspetto più positivo, in ogni caso, è che il “rapporto tra cibo e qualità della vita è sempre più importante e percepito. Di certo c’è una maggiore consapevolezza, c’è almeno un 10% della popolazione, che è ancora poco ma sta crescendo, che ha consolidato pratiche virtuose. Fondamentale il ruolo dell’educazione per costruire una cultura del cibo diversa”, ha detto Paolo Corvo, docente dell’Università di Scienze Enogastronomiche di Pollenzo.
E se gran parte della responsabilità è sulle spalle di produttori, distribuzione e sistema dell’informazione, tanta è anche dei consumatori.
“Che per noi sono anche i nostri proprietari, perché siamo una cooperativa – Ernesto Dalle Rive, presidente Novacoop – e quindi uno degli obiettivi è dare prodotti che sono adeguati alle aspettative dei consumatori, che sono tante, e a volte ci sono tendenze contrastanti: nel carrello finisce il presidio Slow Food insieme alla Coca-Cola. Noi rispondiamo ai consumatori non educandoli, ma informandoli, anche in maniera piacevole, ma consentendo loro quando fanno la spesa di avere più informazioni possibili. Soprattutto con i nostri prodotti a marchio, fatti con una rete di fornitori con cui si ragiona, si analizzano consumi e tendenze, si cerca di dare insieme le risposte più adeguate al cambiamento. “Alleviamo la salute” è una campagna arrivata negli anni, e oggi offriamo polli allevati senza antibiotici, carne di suini e bovini che non hanno ricevuto antibiotici negli ultimi 4 mesi prima della macellazione. Questo vuol dire che alcuni prodotti non riusciamo a farli, come la carne in scatola che per essere rossa ha bisogno dei coloranti che noi non vogliamo usare, per esempio. Poi chiaramente siamo una catena di gdo, la linea Coop è il 30% del nostro venduto, ma abbiamo anche tutto il resto, perché il consumatore ha diritto di scegliere”. E la scelta, se fatta in modo consapevole, è sempre la massima espressione della libertà, anche a tavola. Fonte: WineNews, 22.09.2018