e la Francia si appella all’Unesco
Nati nell’Ottocento, sono diventati un simbolo culturale e gastronomico della Ville Lumière, con le porte, e la cucina, sempre aperte
Se c’è un tratto distintivo di Parigi, più della Torre Eiffel e del Moulin Rouge, simboli di fine Ottocento senza i quali la Capitale francese, in fin dei conti, non perderebbe nulla del suo fascino, sono i bistrot. Difficili persino da definire, a metà tra i caffè e le osterie, da un paio di secoli “invadono” pacificamente le strade delle città francesi con i loro tavolini tondi, su cui poggiare una birra, un calice di vino, o un piatto del giorno.Luoghi d’incontro e di fermento culturale, hanno spesso fatto da sfondo alla nascita ed all’affermazione dell’Impressionismo, immortalati in capolavori come “L’Assenzio” di Edgar Degas, o il “Ballo al Moulin de la Galette” di Auguste Renoir. Oggi, però, la globalizzazione che tutto rivoluziona e tutto uniforma, compreso il piacere di un aperitivo, minaccia persino un’istituzione parigina come i bistrot. Lo schema è quello che vediamo spesso anche nelle città italiane: le grandi insegne dei fast food, o le catene internazionali di caffè, capaci di pagare affitti a volte fuori mercato, prendono lentamente il posto dei vecchi luoghi d’incontro, siano essi bar, osterie o ristoranti.Rendendo Parigi uguale a Londra, Londra uguale a Madrid e Madrid uguale a Roma: un appiattimento a cui i francesi non vogliono arrendersi, appellandosi all’Unesco affinché i bistrot di Parigi possano diventare Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Il dossier del Ministero della Cultura francese arriverà all’Unesco solo nella prossima primavera, ma punterà forte sull’unicità del bistrot, un luogo che accoglie sempre chiunque, con una cucina sempre aperta, in cui leggere un libro o un giornale. Basterà a salvare l’istituzione parigina e vederla al fianco dell’arte dei pizzaiuoli Napoletani e, magari, della baguette?. Fonte: WineNews, 11.07.2018Se c’è un tratto distintivo di Parigi, più della Torre Eiffel e del Moulin Rouge, simboli di fine Ottocento senza i quali la Capitale francese, in fin dei conti, non perderebbe nulla del suo fascino, sono i bistrot. Difficili persino da definire, a metà tra i caffè e le osterie, da un paio di secoli “invadono” pacificamente le strade delle città francesi con i loro tavolini tondi, su cui poggiare una birra, un calice di vino, o un piatto del giorno.Luoghi d’incontro e di fermento culturale, hanno spesso fatto da sfondo alla nascita ed all’affermazione dell’Impressionismo, immortalati in capolavori come “L’Assenzio” di Edgar Degas, o il “Ballo al Moulin de la Galette” di Auguste Renoir. Oggi, però, la globalizzazione che tutto rivoluziona e tutto uniforma, compreso il piacere di un aperitivo, minaccia persino un’istituzione parigina come i bistrot. Lo schema è quello che vediamo spesso anche nelle città italiane: le grandi insegne dei fast food, o le catene internazionali di caffè, capaci di pagare affitti a volte fuori mercato, prendono lentamente il posto dei vecchi luoghi d’incontro, siano essi bar, osterie o ristoranti.Rendendo Parigi uguale a Londra, Londra uguale a Madrid e Madrid uguale a Roma: un appiattimento a cui i francesi non vogliono arrendersi, appellandosi all’Unesco affinché i bistrot di Parigi possano diventare Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Il dossier del Ministero della Cultura francese arriverà all’Unesco solo nella prossima primavera, ma punterà forte sull’unicità del bistrot, un luogo che accoglie sempre chiunque, con una cucina sempre aperta, in cui leggere un libro o un giornale. Basterà a salvare l’istituzione parigina e vederla al fianco dell’arte dei pizzaiuoli Napoletani e, magari, della baguette?. Fonte: WineNews, 11.07.2018