Falò nella notte per scongiurare i danni
È primavera inoltrata, ma l’ondata di maltempo che ha colpito l’Europa ha determinato nei vigneti francesi di Loira e Borgogna una delle gelate più gravi di sempre. I vignerons sono scesi in vigna per scongiurare il pericolo, accendendo fuochi nella notte, secondo un’antica pratica contadina.
La gelata di aprile 2016. Precedenti e danni odierni
La notte tra il 26 e il 27 aprile scorso, nella Valle della Loira sarà per sempre ricordata per una delle peggiori gelate di sempre. Primavera inoltrata, eppure le temperature si sono spinte a -4 gradi, registrando punte di -6 gradi nelle denominazioni collegate alla Indre-et-Loire; non meglio è andata in altre prestigiose Aoc della Borgogna. Le gelate in questione sono state drammatiche, se non come quelle colossali del 1991, almeno come nel 1994. Già il 2012 era stato un millesimo particolarmente colpito dal freddo notturno, che aveva letteralmente “fulminato” sul nascere gemme e bottoni dei vitigni. Allora, i pochi tralci superstiti avevano portato ad una perdita, dell’80-90% del prodotto. Oggi, a poche ore dall’ultima gelata, è presto per azzardare cifre, come dichiara Jean-Martin Detour di Baudry-Detour: siamo nel cuore del Chinon, dove il Cabernet Franc – vitigno rustico e raffinato – è il re indiscusso dell’area: “Succedeche di tanto in tanto i rischi climatici mettano a repentaglio il nostro raccolto. Quest’anno si tratta di un tipo di gelo paragonabile a quello del 1991. Ma nel 1991, a differenza di oggi, avevamo maggiori scorte di magazzino e liquidità”. E prosegue il viticoltore,mettendo in guardia sui possibili rischi: “Tra il giugno 2017 e il giugno 2018, quando i vini saranno venduti e pagati, la situazione si farà più difficile”. Desolante quanto concreta la chiosa: “Visti gli importi finanziari ingenti, nessuna misura pubblica può intervenire. Lo Stato non ha intenzione di farlo. Neppure la solidarietà tra viticoltori funziona”.Considerando che in queste zone la resa media non può, per disciplinare, superare i 50 hl all’ettaro, possiamo ben capire di che cataclisma stiamo trattando.
Lo spauracchio del gelo. Come danneggia le vigne
A differenza della grandine che colpisce piccole e ben localizzate aree stimabili in pochi ettari, il gelo è sempre un fenomeno su vasta scala, non risparmia quasi nessuna coltura in fase di accrescimento. Spietato con i vigneti di fondovalle, quando raggiunge punte così basse è senza opposizione una vera calamità biblica per le coltivazioni. Questo significherà per molte “appellations” un deficit quantitativo in questa annata. Aree vitivinicole dislocate a decine di chilometri tra loro sono state investite da una massa d’aria proveniente da Nord, con in testa, per citarne solo alcune, lo Chablis e la Côte-d’Or.
Lo spettacolo del fuoco nella notte
Ecco perché, quasi presi da un richiamo ancestrale a difesa delle proprie creature, nella notte tra il 26 e il 27 aprile scorso gli agricoltori sono scesi implacabili nei propri vigneti, dando fondo ad antiche pratiche mai dimenticate. È stata una notte di lumi, con l’accensione di fuochi tra i filari, per cercare di aumentare la temperatura tra le viti. Si tratta di una tecnica arcaica e molto spettacolare, in uso da tempo tra i vignerons della Loira, così come sui declivi di Borgogna: focolai puntiformi vengono sistematicamente dislocati a tabulazione nei campi. L’immagine suggestiva e potente che ne deriva è la manifestazione più concreta di quell’eterna opposizione dell’uomo verso le calamità improvvise della natura.
L’irrigazione delle gemme
Un’altra efficace difesa applicata in questi casi è altrettanto particolare, ovvero le viti vengono irrigate a getto. Potrà sembrare assurdo, ma il fatto è ben comprensibile facendo appello alle leggi fisiche: così facendo, infatti, le gemme vengono preservate dal ghiaccio. Si inizia ad irrigare poco prima che la temperatura arrivi a zero gradi, dunque nel tardo pomeriggio, e ci si interrompe appena il ghiaccio si forma attorno ai tralci di vite. Solo così si determina un gioco di calore che, come in una sfera di vetro, mantiene a zero gradi le gemme anche se la temperatura esterna scende a – 5. I francesi lo chiamano semplicemente “arrosage à zero degres”, irrigazione a zero gradi.
Sarà una primavera che verrà comunque ricordata a lungo, ma la strada è ancora tortuosa, come ricorda un detto molto noto da queste parti: “Quand la Saint-Urbain est passée, le vigneron est rassuré“. Insomma servirà non solo aspettare, si spera incolumi, il passaggio dei “Santi di Ghiaccio” Mamerto, Pancrazio, Servazio e Bonifacio di Tarso – ovvero la sesta settimana dell’equinozio di primavera, attorno al 14 maggio – ma come ricorda la saggezza popolare d’Oltralpe, sarà bene cantar vittoria solo il 25 maggio, per Sant’Urbano. La battaglia è ancora lunga.
fonte: Gambero Rosso, Luca Francesconi