Botta e Risposta sugli Ogm all’Expo tra il Ministro alle Politiche agricole Maurizio Martina e il direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara – Indagine Ipr: 85% italiani vogliono Expo senza biotech
Un “franco dibattito” sugli Ogm all’Expo, chiede il ministro Martina. “Ma coltivarli no”
L’articolo apparso su “Il Foglio”
Come ti consegno l’Expo al santone
Governi deboli e compiacenti, università italiane credulone e progressisti allo sbando.
Grazie a loro Vandana Shiva, guru anti Ogm che straparla contro scienza e dati di realtà, ha conquistato Milano di Giordano Masini su Il Foglio
“Vandana Shiva collaborerà con la nostra università nell’ambito del cluster che all’interno dello spazio espositivo di Expo 2015 sarà dedicato al riso. L’impegno di Vandana Shiva per la salvaguardia dei semi testimonia l’importanza delle risorse alimentari, il pericolo dell’ingegneria genetica e il dovere di garantire una equa distribuzione delle risorse in base ai bisogni. E queste sono anche le grandi tematiche di Expo Milano 2015, l’importante sfida a cui Milano si sta preparando e alla cui realizzazione il nostro Ateneo ha attivamente collaborato”. Con queste parole, l’Università di Milano Bicocca ha salutato a maggio la collaborazione tra l’ateneo e la Shiva, eroina anti Ogm (organismi geneticamente modificati), oggi al centro di nuove polemiche dopo la lunga inchiesta che il New Yorker le ha dedicato. Un’inchiesta che mette in dubbio alcune delle uscite più roboanti della Shiva (fonte originaria della saga sui presunti suicidi di massa dei contadini indiani), i suoi titoli di studio e altro ancora. Fatto sta che, come dimostra il virgolettato di cui sopra, la Shiva è arrivata all’Expo attraverso la porta che meno ti aspetti, quella dell’università, e oggi che la sua credibilità – dal suo presunto curriculum scientifico ai contenuti della sua propaganda – è a pezzi, è inevitabile chiedersi come questo sia stato possibile. Quali sono i meriti scientifici che l’Università ha riconosciuto e certificato alla Shiva? E siamo sicuri che non si possa rimediare? Una Caporetto dell’università italiana, quindi, ma non solo.
L’Expo milanese – che ieri Matteo Renzi ha detto sarà “uno straordinario motivo di orgoglio” – ha come titolo “nutrire il pianeta”. Si parla di cibo, di agricoltura e quindi di povertà: come è possibile che le tecnologie più avanzate nell’ambito del miglioramento genetico delle piante agrarie, grazie a una scelta politica che ha visto concorde tutto l’arco costituzionale, siano state tenute lontane da un evento simile? Come è possibile che a un mondo che chiede pane, e competenze per produrlo, Expo risponda consigliando brioches? Difficile non ripensare al piccolo coltivatore indiano che, dalle pagine del New Yorker, difendeva con le unghie e con i denti dalla propaganda della Shiva proprio quegli Ogm che gli permettono di produrre di più, a minori costi, e ammalandosi di meno.
Secondo lo scrittore Antonio Pascale, che sul rapporto tra scienza e opinione pubblica ha spesso riflettuto, all’origine di questa inversione di valori che ha coinvolto principalmente l’universo progressista c’è quello che lui chiama “sapere nostalgico”, di cui Pier Paolo Pasolini è stato forse il campione incontrastato: un’estremizzazione ideologica di quel bias che addolcisce i ricordi e ci porta a temere qualsiasi cambiamento, come una forma di corruzione di una presunta età dell’oro che non esiste più, e soprattutto non è mai esistita: “Mio nonno coltivava biologico, ma non per scelta, per necessità – dice Pascale al Foglio – Era un uomo a chilometri zero: se non avesse fatto le due guerre non si sarebbe mai mosso da casa sua”. Chi sarebbe disposto oggi a tornare a fare quella vita? Perché dovremmo consigliarla o imporla nei paesi in via di sviluppo? “Quando studiavo agraria – dice Pascale – i professori di sinistra parlavano di progresso tecnologico e di miglioramento genetico. Erano quelli di destra che la menavano con le tradizioni”. Oggi invece si preferisce coltivare l’illusione, decisamente a buon mercato in una parte di mondo che non ha più problemi di malnutrizione, secondo la quale le buone intenzioni, da sole, sarebbero in grado di sfamare gli abitanti del pianeta: invece per garantire la produzione attuale di cibo con le tecniche di sessant’anni fa, la cosa più simile all’agricoltura biologica su vasta scala di cui abbiamo memoria, sarebbe necessario rendere coltivabile un’area vasta quanto la Russia, se non di più, secondo un interessante studio pubblicato nel 2010 dalla National Academy of Sciences statunitense.
Se è vero che tra il 1961 e il 2005, mentre la popolazione mondiale cresceva del 111 per cento, la produzione agricola è aumentata del 162 per cento, se è vero che nel 1950, sul pianeta Terra, un miliardo di persone su un totale di 2 miliardi e mezzo di abitanti soffriva la fame mentre oggi lo stesso pianeta fornisce cibo a sufficienza per più di 6 miliardi di persone, su un totale di 7 miliardi, se è vero che in circa sei decenni la percentuale di persone che soffrono la fame e la malnutrizione è passata dal 40 al 15 per cento, mentre, in termini assoluti, lo stesso pianeta le cui risorse erano a malapena sufficienti a nutrire 1,5 miliardi di individui oggi ne sfama quattro volte tanti, non lo dobbiamo alla propaganda della Shiva, che dal palco dell’ateneo milanese parlava di ritorno alla semplicità e alla “terra madre, organismo vivente che interconnette tutti noi”, ma al progresso tecnologico.
E poi, per finire, c’è il côté politico: un ministro dell’Agricoltura di sinistra, Maurizio Martina, ancora non ha risposto alle domande che gli ha rivolto pubblicamente, mesi fa, la senatrice a vita Elena Cattaneo, persona di sinistra, sul tema degli Ogm. Domande che riportano alla battaglia dei maiscoltori del nord della penisola, tra tutti quelli del Friuli e della Bassa mantovana, perché sia rimosso il paradossale divieto che impedisce loro di coltivare quel che invece è legittimo importare, e che li mette in una condizione di oggettivo svantaggio competitivo nei confronti degli agricoltori del resto del mondo. E che riportano anche alla questione del bando alla ricerca sugli Ogm deciso nel 2001 dal ministro Pecoraro Scanio (governo Amato) e rispetto al quale oggi, 6 ministri dell’Agricoltura dopo, siamo ancora fermi allo stesso punto. Unici in Europa, ma anche qui si preferisce glissare.
La risposta di Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, al quotidiano Il Foglio
Un “franco dibattito” sugli Ogm all’Expo, chiede il ministro. Ma coltivarli no
“Ho letto gli articoli che ieri avete dedicato al tema Expo e Ogm. Per prima cosa vorrei fare chiarezza -scrive il ministro Martina- su quello che sarà l’Esposizione universale di Milano del 2015: una grande piattaforma di dibattito aperto, costruttivo e mi auguro efficace sulla sicurezza alimentare del pianeta e sui modelli agricoli che si vorranno sviluppare nei prossimi decenni per garantirla. Come paese organizzatore abbiamo scelto il tema “nutrire il pianeta, energie per la vita” non certo per porre veti, ma per aprire una finestra sul futuro delle idee, delle tecnologie, delle applicazioni e degli studi sull’alimentazione. Vogliamo stimolare un confronto senza preclusioni, che coinvolgerà oltre 140 paesi, organizzazioni e personalità internazionali che per sei mesi porteranno esperienze, buone pratiche e proposte che possano trasformarsi in decisioni globali. Ci sarà spazio anche per un dibattito franco sul tema degli Ogm, alla luce della partecipazione dei principali paesi produttori, a partire dagli Stati Uniti d’America. Di più: saranno rappresentate tutte le tesi, sia pro che anti Ogm. Ma Expo non si esaurirà soltanto in questo tema e ha l’obiettivo di diventare uno snodo importante per il futuro alimentare, anche nel quadro di aggiornamento degli obiettivi del Millennio che le Nazioni Unite discuteranno proprio nell’autunno 2015”.
Il Ministro Martina: “ voglio ribadire con forza che il nostro paese non è affatto all’anno zero della ricerca”
“L’Italia -scrive ancora Martina nella lettera indirizzata a Il Foglio- farà la sua parte in questa Esposizione universale, coinvolgendo gli enti di ricerca e le migliori professionalità del settore, con gli interventi, tra le altre iniziative, degli scienziati del Cnr e del Cra. Le università saranno presenti con i loro autonomi progetti e le ricerche che riterranno più all’avanguardia. Non dobbiamo però commettere l’errore di sovrapporre il tema della ricerca solo a quello degli Ogm, quando questi ultimi sono una parte del primo. E qui voglio ribadire con forza che il nostro paese non è affatto all’anno zero della ricerca e non paga ricercatori a cui impedisce di lavorare, anzi. Lo dimostra ad esempio il numero del 18 luglio di Science, che ha pubblicato i risultati delle ricerche del Consorzio internazionale sequenziamento genoma frumenti, di cui fa parte il progetto italiano “Mappa fisica del cromosoma 5A”, finanziato interamente dal ministero delle Politiche agricole. Questo lavoro contiene nuove scoperte sulla struttura, sull’organizzazione e sull’evoluzione del genoma della specie più coltivata al mondo. Attraverso l’utilizzo di marcatori molecolari, sarà possibile selezionare nuove varietà più produttive, più resistenti alle malattie (limitando il ricorso a trattamenti chimici), più salubri (con meno micotossine) e di superiore livello qualitativo. A questi risultati possiamo aggiungere, ad esempio, gli studi fatti sull’orzo che hanno portato anche a un miglioramento delle rese e una maggiore resistenza alle malattie.
In generale poi vorrei ricordare che non è solo l’Italia a non coltivare Ogm. In soli 5 paesi al mondo si concentra oltre il 90 per cento della produzione (Usa, Brasile, Argentina, India e Canada). In Europa, messa da parte la Spagna che destina al mais Bt circa 135 mila ettari, per il resto la sua presenza è nulla o irrisoria (Portogallo, Romania, Slovacchia). L’Italia non è certo isolata nella scelta di non coltivare piante ogm sul proprio territorio. Dopo quasi quattro anni di dibattito è ormai prossima la decisione di dare agli stati membri la facoltà di limitare o proibire una coltura ogm anche se autorizzata dall’Ue. Questo sulla base di motivazioni di pianificazione territoriale, di impatto socio-economico e legate a obiettivi generali di politica agricola. Siamo sicuri che scegliere la competizione sulla produzione di commodity elevi il tasso di competitività complessiva del sistema agricolo italiano? Abbiamo le caratteristiche pedoclimatiche e morfologiche per sostenere la sfida sul piano dei costi? Non si corre il rischio di intraprendere la strada dell’omologazione? Sono quesiti che si stanno ponendo anche grandi player dell’agroalimentare italiano, risolvendoli con una scelta, prima di tutto economica, che va oltre gli Ogm.
Sia chiaro che da parte nostra non c’è nessuna avversione ideologica al tema, non siamo alla caccia alle streghe e non ci interessa una prospettiva oscurantista. L’Europa, come detto, si sta dirigendo verso la scelta autonoma di ogni paese e il Parlamento italiano si è espresso chiaramente contro le coltivazioni ogm. Questo non significa che la politica non si interroghi sul tema dell’innovazione, ma l’Italia forse più di altri ha il dovere di accogliere questa sfida salvaguardando e valorizzando le peculiarità del proprio modello agricolo, convinti come siamo che la distintività sia un valore per il futuro. Ciò non vuol dire essere nostalgici o conservatori di un mondo bucolico ideale, ma significa fare una scelta di politica agricola nazionale che tenda a dare prospettive di crescita anche sul medio e lungo periodo agli agricoltori. Non c’è dubbio che in questo schema la ricerca assuma un ruolo decisivo e proprio per questo continueremo a sostenerla, cercando di ottimizzare le risorse che abbiamo su progetti che aiutino il settore agricolo a fare un ulteriore salto di qualità e a proiettarsi in avanti forte del bagaglio di storia e di tradizione che ha alle spalle.
La risposta di Giuliano Ferrara: Contro l’agricoltura feudale
Il caso di Vandana Shiva, la risposta del ministro dell’Agricoltura, i compiti dell’imminente Expo, che vuole nutrire il pianeta ma con i mezzi “slow” dell’ipercorrettismo alimentare. Una strada sbagliata di Giuliano Ferrara
Il ministro delle Risorse agricole, cioè dell’Agricoltura, è persona gentile, si circonda di funzionari informati e sapienti (perché dubitarne?), e difende senza sopracciò una situazione nella quale mostra di stare politicamente e culturalmente un po’ stretto. Certo, un attacco sconsiderato e frontale del Fogliuzzo all’Expo (benemerita istituzione con la quale abbiamo volentieri collaborato con un libretto mirabile di Sandro Fusina) perché non mette alla porta Vandana Shiva, la guru indiana della lotta mortale contro gli organismi geneticamente modificati (Ogm), non può che essere respinto gentilmente (e questo è prezioso) dall’Autorità competente. Va bene. Noi abbiamo le nostre piccole vecchie ragioni “mercatiste”, illustrate e amplificate dallo schiaffo del liberal New Yorker alla Shiva, accusata nientemeno che di aver inventato (di sana pianta, si può dire) dati, circostanze e perfino una inesistente catena di suicidi di massa di contadini indiani “assassinati” dalle multinazionali dell’agricoltura per via di ritrovati tecnologici riguardanti la coltivazione del cotone.
Ci piacerebbe scrivere queste cose perché finanziati dalla Monsanto, come dai petrolieri texani e magari dal Pentagono, ma i nostri ricavi vengono per un terzo dai lettori, per un terzo dalla pubblicità, per meno di un terzo dalle sovvenzioni pubbliche benedette e sempre in calo, e una mano ce l’ha data con grazia il nostro amico Berlusconi (così liberale da tollerare perfino il nostro amore per il suo competitore ed erede Matteo, di cui anch’egli è un po’ invaghito). Le scriviamo invece, queste cose, perché ci sembrano per lo meno verosimili. E apprezziamo la risposta di Maurizio Martina, ma ne sottolineiamo la debolezza intrinseca. Qualche studio sul frumento è in corso, ed è bene che sia così (sono un piccolo produttore della materia, ne so qualcosa), ma insomma è incontestabile che da noi si abbia una disposizione bipartisan draconiana che impedisce ricerca e sperimentazione dal vivo, ben più che nel resto d’Europa e nella stessa Francia rompicoglioni e ipercorretta del principio di precauzione. L’Autorità europea in materia (l’indipendente ma certificata Efsa) ha sottolineato che, se è per ragioni socioeconomiche va bene o così così, ma non debbono invocarsi inesistenti ragioni di sicurezza alimentare, afferenti la salute, quando si chiude la porta in faccia alla speranza di ridurre fame e povertà nel mondo, e anche di stimolare ottimi profitti per vaste masse di agricoltori e consumatori e per molte belle multinazionali che fanno ricerca e produzione di Ogm. Abbiamo dato il via alla sperimentazione più cinica sul vivente umano, ma l’ideologia del benessere non prevede deroghe quando si tratti di civiltà umanistica, e dunque di intervento sulla natura.
Il caso di Vandana Shiva, superconsulente dell’Expo, che certo ha altri meriti e le vanno riconosciuti, è un caso di distorsione ideologica, che il New Yorker ha indicato in termini fattuali, con il giornalista Specter difeso a spada tratta dal suo direttore Remnick dall’accusa subdola di razzismo e servaggio alle multinazionali. Non è un caso da poco, e mandare a casa la signora Shiva sarebbe un servizio alla verità e al proposito di “nutrire il pianeta”, che è il titolo dell’Expo milanese. Noi non molleremo, e aspettiamo che da Milano giungano notizie buone e fresche, sebbene la lobby dello slow food e altre lobby siano mobilitate per fare di questo evento internazionale una lunga e noiosa trasmissione di Radiotre, ciò che forse non avverrà perché, come ricorda il ministro, al tavolo dell’Expo siedono anche culture non marginali come quella espressione della fiorente e vigile agricoltura degli Stati Uniti.
Come che sia di ciò, è proprio la questione economico-sociale in fatto di agricoltura che andrebbe sollevata tutta intera. Le terre furono occupate, e la terra a chi la lavora era una parola d’ordine comunista fornita di una dignità storica (sebbene ci sarebbe parecchio da dire sulle conseguenze, non solo su quelle positive, visto che non siamo per la servitù della gleba ma nemmeno per il socialismo in un solo paese). La riforma agraria targata Democrazia cristiana, e firmata dal gran signore Antonio, è cosa fatta, e capo ha (sebbene lo stato pietoso dell’agricoltura in Italia, e la intelaiatura feudal-socialista che la soffoca, siano uno scandalo). Insomma chi ha avuto ha avuto. Ma un governo riformista che appartiene a un’altra epoca dovrebbe perendere in mano seriamente il tema: capitalismo in agricoltura. Non potrà fare che bene, al capitalismo e ai campi.
Ogm, Coldiretti: 85% italiani vogliono Expo senza biotech
Secondo l’85 per cento degli italiani all’Expo deve essere valorizzata l’agricoltura di qualità senza Ogm che l’Italia ha fatto giustamente la scelta di non coltivare insieme alla stragrande maggioranza dei Paesi dell’Unione. E’ quanto emerge da una indagine Ipr marketing divulgata dalla “Task force per una Italia libera da Ogm” che conferma la contrarietà al biotech nei campi nazionali di quasi 8 italiani su 10 (76 per cento).
Per l’Italia – si legge in una nota di Coldiretti Lombardia – gli organismi geneticamente modificati (Ogm) in agricoltura secondo la Task force non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale e alimentare, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico del Made in Italy. Nell’Unione Europea secondo la task force nonostante l’azione delle lobbies che producono Ogm, nel 2013 sono rimasti solo cinque, sui ventotto, i paesi a coltivare Ogm (Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania), con appena 148mila ettari di mais transgenico MON810 piantati nel 2013, la quasi totalità in Spagna (136.962 ettari). Si tratta quindi di fatto di un unico Paese (la Spagna) dove si coltiva un unico prodotto (il mais MON810) nonostante le promesse sulle proprietà miracolistiche.