«

»

Lug 17 2014

Print this Articolo

IN AFRICA SLOW FOOD NON STA FACENDO SOLO ORTI

sta promuovendo un’idea di agricoltura

Nei giorni scorsi è comparso in rete un articolo dal titolo “Gli orti d’oro di Slow Food”, secondo il quale Slow Food avrebbe fatto ingresso nel “business” della cooperazione internazionale raccogliendo fondi per realizzare diecimila orti in Africa e usandoli poi, al 70%, per pagare il proprio apparato (l’articolo dice, testualmente: «Ogni orto richiede un investimento di 900 euro. Non poco. Poi si scopre che l’orto in sé costa 250 euro, il resto è fuffa»).
Questo giudizio così pesante non nasce dalla conoscenza del nostro progetto. Chi ha scritto non ha contattato Slow Food per avere informazioni; non ha parlato con i responsabili africani degli orti; non ha visitato gli orti di Slow Food in Africa. Al contrario, chi ha scritto si è limitato a leggere una tabella sul nostro sito internet e a darne la sua personale interpretazione, cercando di gettare discredito su uno dei progetti più importanti di Slow Food. Un progetto che sta coinvolgendo, in Africa, oltre 50 mila persone e che sta mobilitando, nel mondo, decine di migliaia di soci e attivisti.
Ora, la tabella, ve la spieghiamo noi. Non tanto per rispondere all’articolo, ma per rispetto nei confronti della nostra rete di donatori, che hanno creduto e credono in questo progetto (decine di migliaia di persone che danno il loro contributo raccogliendo tante piccole somme con fatica, grazie a quotidiane attività volontarie) e per rispetto nei confronti della nostra rete africana, fatta di tanti giovani, donne, contadini, insegnanti, studenti, cuochi, che lavorano in 30 Paesi.

In Africa Slow Food non sta facendo semplicemente una serie di orti (cento, mille o diecimila) ma sta promuovendo un’idea di agricoltura, basata sulla conoscenza del territorio, sul rispetto della biodiversità e delle culture locali. Un’agricoltura capace di sfamare le comunità africane senza snaturare i rapporti sociali e devastare l’ambiente, ma puntando sulla dignità delle comunità (della loro storia, del loro sapere), sul rispetto del territorio e del suo equilibrio ecologico. Per questo negli orti Slow Food si coltivano varietà tradizionali di ortaggi, frutta ed erbe aromatiche e medicinali (più adatte al territorio), si costruiscono semenzai per riprodurre i semi (per non doverli acquistare ogni anno e preservare la biodiversità), si realizzano compostiere con scarti vegetali, letame e cenere (per evitare di spendere e di uccidere il terreno con fertilizzanti chimici), si difendono le piante con metodi naturali, come i preparati di ortiche (per evitare di acquistare pesticidi, avvelenando terra e acqua), si risparmia l’acqua (raccogliendo l’acqua piovana, conservano l’umidità del terreno con buone pratiche, come la pacciamatura, impiegando sistemi di irrigazione a goccia), si destina il raccolto al consumo familiare o alle mense (nel caso degli orti scolastici) e si vendono le eccedenze sui mercati locali o in piccoli luoghi di ristoro che nascono accanto agli orti (come per l’orto comunitario di Ouagadougou, in Burkina Faso www.fondazioneslowfood.it/milleorti).

Per far questo servono persone consapevoli e formate. Servono leader giovani, che possano motivare le comunità. Ed ecco perché la quota che Slow Food chiede per sostenere un orto (900 euro) non è usata soltanto per comprare zappe, carriole e innaffiatoi e recinzioni (250 euro), ma è usata per pagare il lavoro e la formazione dei responsabili africani che devono coordinare le comunità (200 euro), per garantire borse di studio ai giovani (100 euro), per farli viaggiare, conoscere altre realtà, confrontarsi con altre comunità (100 euro), per tradurre nelle lingue africane e stampare materiale didattico (50 euro). Tutto questo denaro va direttamente nei paesi africani.

A Slow Food vanno 200 euro (pari al 22,2%), necessari per coprire i costi del coordinamento tecnico del progetto (che prevede la definizione delle linee guida degli orti, l’individuazione degli agronomi, la realizzazione dei contenuti didattici, la messa in rete dei responsabili dei vari paesi, la gestione dello scambio di informazioni fra la rete dei donatori e le comunità africane che realizzano gli orti, la comunicazione).

I 900 euro non sono su base annuale (come detto nell’articolo) ma sono stati usati per lavorare tre anni: dal 2011 (anno di avvio del progetto) al 2013 (anno in cui sono stati realizzati i primi 1000 orti). E i 1000 orti avviati esistono ancora e continueranno a esistere, senza ulteriori contributi.

Con il denaro raccolto per realizzare i primi mille orti (la descrizione di ogni singolo orto è presente sul nostro sito – www.fondazioneslowfood.it/pagine/ita/orti/ – e a breve li troverete su Google Map), abbiamo anche pagato il lavoro di 58 responsabili africani, abbiamo coinvolto 55 agronomi africani, abbiamo organizzato 31 seminari di formazione per un totale di circa 1000 persone provenienti da 25 paesi africani, abbiamo finanziato 7 borse di studio e pagato i costi di numerosi stage e tirocini (Roba Bulga e John Kariuki, gli attuali responsabili nazionali di Slow Food in Etiopia e Kenya, sono ex studenti che hanno usufruito di queste borse di studio), abbiamo prodotto e distribuito materiale didattico (video, depliant, manuali, fumetti) in 17 lingue (inglese, francese e portoghese, ma anche swaili, amarico, oromo, bambarà, zulù e tante altre).

Molte delle persone coinvolte in questo progetto sono diventate leader locali e nazionali, ma anche internazionali: Edward Mukiibi, responsabile degli orti ugandesi, è oggi vicepresidente di Slow Food Internazionale; John Kariuki Mwangi, responsabile degli orti in Kenya, è Consigliere di Slow Food Internazionale e fa parte del Cda della Fondazione Slow Food per la Biodiversità; Sara El Sayed, responsabile degli orti in Egitto, ed Lhoussaine El Rhaffari, responsabile degli orti in Marocco, sono Consiglieri di Slow Food Internazionale, Herschelle Millford,responsabile degli orti in Sud Africa, è Consigliere di Slow Food Internazionale.

Questa per noi è vera cooperazione. Vera politica. “Il resto è fuffa”.

Carlo Petrini, Presidente di Slow Food 

c.petrini@slowfood.it 

Permanent link to this article: https://www.slowfoodvalliorobiche.it/in-africa-slow-food-non-sta-facendo-solo-orti/