L’INTERVENTO DEL PRESIDENTE ROBERTO BURDESE AL MEETING DEI MAESTRI DEL PAESAGGIO
Cosa c’entra il cibo in un meeting dedicato al paesaggio?
Addirittura “centralità del cibo”?
Beh…forse nell’aver invitato Slow Food gli organizzatori una risposta se la sono già data.
In ogni caso proverò a sottoporvi alcune brevi riflessioni con le quali spero di convincervi che la centralità del cibo è strategica per tutto il dibattito che state affrontando.
E’ evidente che un paese come l’Italia vive ogni ragionamento legato al tema del paesaggio con una differente urgenza rispetto ad altri paesi del mondo: sappiamo tutti quanta attrazione abbia esercitato nei confronti dei viaggiatori in diverse epoche storiche non solo il patrimonio artistico e architettonico dell’Italia ma anche quello frutto dell’interazione tra uomo e natura. Oggi però non è tanto all’inventario delle ricchezze del nostro paese che dobbiamo guardare quanto piuttosto alle ormai insostenibili minacce che gravano su di esse. Il patrimonio del Bel Paese – e soprattutto il suo paesaggio – sono minacciati dal cemento, dall’incuria, dall’abbandono, da forme di monocoltura intensiva: tutti sfregi, tutte ferite difficilmente rimarginabili. E dunque destinate a lasciare cicatrici permanenti che, ovviamente, riducono sensibilmente (fino quasi ad annullare) il valore di quel patrimonio.
Non intendo qui soffermarmi sulle statistiche relative al consumo di suolo (e di paesaggio) in Italia: le ricerche in materia sono numerose e anche se non sempre uniformi nei dati, tutte quante convergono in maniera inequivocabile nella denuncia di un eccessiva perdita di suolo agricolo – e suolo “libero” in generale – a beneficio di varie forme di “impermeabilizzazione”. L’ultima autorevole indagine in materia è stata presentata a fine luglio dal Ministro per le Politiche Agricole Mario Catania, congiuntamente a una proposta di legge volta proprio a contenere il consumo di suolo.
Voglio invece usare il tempo a mia disposizione per illustrarvi i motivi per cui è proprio dal cibo che deve partire la riscossa: affermando la centralità del cibo, noi possiamo innescare un meccanismo virtuoso che non solo contribuirà ad arrestare il consumo di suolo e di paesaggio ma diventerà esso stesso fattore positivo nella creazione di paesaggi di eccellenza, come è accaduto in molta parte d’Italia e in molta parte della nostra storia.
Parto da un dato. Larga parte dei prodotti agricoli oggi vengono pagati quanto venivano pagati venti anni fa, in taluni casi anche trenta anni fa.
E’ questo il nodo di tutta la faccenda: gli agricoltori, sottopagati e maltrattati, mai considerati per la straordinaria importanza del loro lavoro, non riescono più a campare. E quindi abbandonano le campagne, non garantiscono il ricambio generazionale, oppure si affidano alle monocolture che il mercato impone o ancora cedono alle lusinghe degli speculatori che trasformano i campi in parchi fotovoltaici o li condannano a morire sotto il cemento.
Così ci ritroviamo con ormai il 3,7% della popolazione attiva impegnata nel settore primario (che è e rimane PRIMARIO!), con l’età media degli addetti del settore più alta d’Europa (e pertanto, presumo, del mondo), con un consumo di suoli pregiati che negli ultimi anni ha subito una accelerazione nonostante la crisi e nonostante il fatto che il nostro sia un Paese che – per conformazione naturale del suo territorio – di suolo libero ne ha già relativamente poco a disposizione.
Per molti anni ci siamo cullati nell’illusione che questo fosse progresso: liberare l’uomo dal duro lavoro della terra, dalle bizze della Natura che può regalarci raccolti abbondanti o annate disastrose, trasformare la forza lavoro di un paese contadino in operai prima e impiegati poi. Sono bastati pochi decenni per dimostrare quanto sia stata poco lungimirante quella scelta “assoluta”, e quanto oggi ci sia un grande bisogno di agricoltori/custodi. Solo che tutto il sistema è cambiato e recuperare quei posti di lavoro è diventato quasi impossibile.
Non è mia intenzione rivolgere l’ennesimo j’accuse alla politica, che certo ha le sue responsabilità e in ogni caso è la prima a dover essere chiamata in causa.
Qui la responsabilità è di tutti: politici, imprenditori, media, cittadini. Non si capisce che l’agricoltura non serve solo a produrre cibo (e quindi anche salute): l’agricoltura preserva gli ecosistemi, tutela e rigenera la biodiversità, costruisce e mantiene il paesaggio, conserva e trasmette la memoria storica. E la memoria, si badi, non è nostalgia del passato: è conoscenza dei luoghi!
Le sensibilità verso il bello (che crescono nel nostro Paese), senza i manutentori di questa bellezza sono tutta aria fritta. E vogliamo parlare di quelli che sono i costi causati dal dissesto idrogeologico nel nostro paese? I principali e fondamentali manutentori sono gli agricoltori!
Nel valore (non nel costo) del cibo, dobbiamo dunque metterci anche tutte quelle altre funzioni che ho elencato in precedenza, a partire proprio dalla tutela del territorio.
La perdita dei presidi sul territorio rende vana qualsiasi forma di denuncia.
Si tratta di rigenerare il pensiero. L’agricoltura è uno degli asset vincenti anche per superare la crisi del Paese ma questo messaggio non è ancora passato nella classe dirigente.
Figurarsi poi con che faccia ci possiamo presentare in giro per il mondo a promuovere le nostre eccellenze (il made in Italy) o a invitare i turisti a scoprire le bellezze del nostro Paese se intanto stiamo minando le basi di quella che è – dovrebbe essere – la nostra prima “industria”.
Se sapremo recuperare il significato e il valore della centralità del cibo nelle nostre politiche e nelle nostre scelte di vita quotidiana avremo posto il primo fondamentale tassello per una grande operazione di difesa del paesaggio e di creazione di nuova bellezza.