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Feb 07 2022

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ZUPPA PROIBITA: GLI EUROPEI NON VOGLIONO PIÙ LE PINNE DI SQUALO

Mentre si festeggia il Capodanno cinese, si discute di una tradizione gastronomica che rischia di causare l’estinzione della specie marina. Con una petizione che ha raccolto più di un milione di firme, di cui oltre 70.000 dall’Italia, l’Unione Europea decide di porre fine al commercio di questo alimento

Il 31 gennaio si è chiusa l’iniziativa di raccolta firme europea per chiedere lo stop al commercio delle pinne di squalo. Per chi non lo sapesse e avesse in mente solo una vaga pietanza menzionata in un menu da ristorante cinese stampato male, le pinne di squalo sono l’ingrediente principale di una ricetta tradizionale asiatica divenuta famosa in tutto il mondo. Oggi l’Unione europea è uno dei maggiori esportatori di pinne e un importante centro di transito per il commercio mondiale di questo alimento. Ma a quanto pare agli europei non sta più bene.

Una preziosa zuppa che non sa di niente

Popolare sin dai tempi della dinastia Ming, la zuppa di pinne di squalo viene servita in occasioni speciali, come matrimoni o celebrazioni importanti. È considerato un alimento di lusso, simbolo di salute e prestigio. Per preparare la zuppa di pinne di squalo si deve rimuovere la pelle, il taglio dell’alimento in una forma definita e una successiva essiccatura. Per rendere più vivido il colore, si può applicare dell’acqua ossigenata sulla pinna prima di seccarla. Sono commercializzate o surgelate o essiccate: per questo, prima di essere utilizzate, vanno ammorbidite. Le pinne non hanno un grande valore nutrizionale, né un sapore particolarmente definito. Ma vengono utilizzate per assorbire il sapore di altri ingredienti, oltre al fatto che sono considerate un vero e proprio bene di lusso. La maggiore prosperità del popolo cinese ha spinto i consumi di pinne di squalo, mettendo in pericolo la sopravvivenza di questi animali.

Pinne e rider

L’iniziativa, lanciata due anni fa, si era posta come obiettivo il raggiungimento di un milione di firme. Questa cifra è già stata raggiunta, circa un paio di settimane prima della scadenza, segno che sulle pinne siamo tutti abbastanza d’accordo: vanno lasciate agli squali. Solo dall’Italia sono arrivate oltre 70.000 firme. Ma questa non è la prima volta che viene lanciata una petizione per fermare il commercio di pinne di squalo. Già anni fa l’organizzazione Friend of the Sea aveva lanciato una petizione molto simile su Change.org. Insomma, le pinne di squalo stanno a cuore a molti. Infatti, grazie anche a iniziative contemporanee, come quella lanciata dal WWF, nel 2019 la compagnia di consegna di cibo a domicilio Deliveroo aveva accettato di ritirare dal proprio menu tutti i piatti a base di pinne di squalo. Paolo Bray, fondatore e direttore di Friend of the Sea, spiega che la scelta di lanciare la petizione nasceva dallo stupore: acquistare zuppe di pinne di squalo a Milano, e in Italia, era facilissimo. «Facendo una ricerca, ho scoperto che si trattava di un fenomeno globale: anche all’estero centinaia di ristoranti, tramite Deliveroo e JustEat, servivano la zuppa. Ogni anno circa 100 milioni di squali vengono uccisi in maniera crudele per questa ricetta e questa inutile attività sta portando all’estinzione diverse specie di squalo. Per questo ci è sembrato doveroso creare una petizione». Ma anche la scelta di Deliveroo gratta solo la superficie del problema. Infatti, la piattaforma ha solo rimosso la pietanza, continuando però a lavorare con ristoranti (in buona parte asiatici) che propongono la zuppa di pinne di squalo, o derivati, nella loro cucina e ai loro tavoli. «Bisognerebbe operare una selezione a monte dei ristoranti, in modo da non supportare neanche indirettamente questa industria e questo commercio spesso illegale», spiega Bray.

Cos’è lo shark finning

Lo squalo ha un ruolo chiave nell’ecosistema marino e la pratica dello shark finning (letteralmente lo spinnamento degli squali), oltre ad essere crudele, li sta decimando. Le pinne vengono infatti tagliate mentre i pesci sono ancora vivi. I corpi, privati delle appendici, vengono gettati in mare, dove l’animale agonizza per giorni prima della morte. Il mercato delle pinne si attesta intorno a 8 tonnellate circa all’anno e le appendici possono essere vendute a più di mille dollari/kg.
A settembre 2021 l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN) ha aggiornato la Lista Rossa per quel che riguarda razze e squali e il risultato parla di un aumento del pericolo per queste specie marine: il 37% di razze e squali è ora minacciato di estinzione. Tutte le specie minacciate di squali e razze sono sovra-sfruttate, con il 31% ulteriormente colpito dalla perdita e dal degrado dell’habitat e il 10% colpito dal cambiamento climatico.

Rimedi e alternative alle pinne di squalo

Se la zuppa di pinne di squalo è la triste tradizione gastronomica su cui si sta concentrando l’attenzione in questo momento, non è purtroppo l’unica. Anche le mante, ad esempio, vengono massacrate per farne delle zuppe usando le branchie. Ma la sensibilità sta cambiando e, anche per questo, insieme agli alimenti plant based, fioriscono alternative amiche anche degli squali. Ad esempio, dalla Malaysia arriva l’empurau, un pesce d’acqua dolce del sud-est asiatico, considerato una risorsa sostenibile, prestigiosa e redditizia. Viene allevato in acquacoltura e può arrivare a costare fino a 400 euro a porzione. In un pranzo di nozze asiatico può far fare bella figura ai festeggiati.

Il successo della raccolta firma dedicata alle pinne di squalo ha spinto Friends of the Sea ad aggiornare il nostro standard di sostenibilità per la pesca commerciale. «Abbiamo inserito un requisito specifico per proibire lo shark finning. La nuova sub-certificazione “Shark-safe” di Friend of the Sea sarà assegnata a quelle aziende ittiche che si impegnano a non praticare l’asportazione delle pinne di squalo e ci consentiranno di verificare tale impegno attraverso gli audit e, in un futuro prossimo, anche con telecamere CCTV a bordo. In questo modo garantiamo ai consumatori la possibilità di riconoscere i prodotti che non hanno a che fare con questa pratica terribile».  Fonte: Linkiesta, Gastronomika, Stefania Leoi, 07.02.2022

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